ARTE ………….. IL CAPPELAIO MATTO !!
Scritto da Scoiattolina il 24 Gennaio 2011 | 12 commenti- commenta anche tu!


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Pochi di noi sapevano che un piccolo centro delle Marche fosse la “capitale mondiale del cappello”. Lo apprendiamo dalla nostra amica Carlotta, che ha fatto una ricerca minuziosa in proposito e che siamo lieti di proporvi, completata da una Galleria di foto.
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IL CAPPELLAIO PAZZO
dalla creatività dei maestri cappellai di Montappone (Fermo)
Montappone, un piccolo paesino arrampicato su un colle dell’Alto Piceno, è conosciuto in Italia e all’estero per essere la capitale mondiale del cappello. Le origini di questa tradizione artigianale ed artistica affondano nei secoli e si confondono tra realtà e fantasia; la leggenda narra che un giovane contadino, innamoratosi di una principessa, venne sfidato dal padre, il re, a procurarsi una corona se davvero voleva avere la mano della figlia; dopo essersi arrovellato la mente per giorni, ebbe infine l’idea di costruirsene una bellissima intrecciando dei dorati fili di paglia e guadagnandosi così felicità e fortuna. In realtà, il cappello nacque come strumento di lavoro, un “attrezzo” tanto importante per i contadini di Montappone da diventare nel tempo il fulcro della produzione artigianale di questo piccolo e grazioso borgo medievale.
Col tempo, i copricapo che si confezionavano nel paese raggiunsero una bellezza tale da diventare i più richiesti in tutta Italia, al punto che oggi in questa zona si fabbrica, ancora con una lavorazione principalmente a mano e artistica, quasi l’85% della produzione nazionale e buona parte di quella mondiale.
“LU VORGU” - IL BORGO ANTICO
Ai cappelli è addirittura dedicato un museo permanente in cui sono illustrate attraverso video, fotografie e pannelli, tutte le fasi della loro lavorazione, dalla raccolta della paglia alla selezione, dall’intrecciatura alla cucitura, per finire alla pressa che dà la forma finale al manufatto. Vicino a diversi macchinari appartenuti a cappellai di ogni epoca sono poi esposti cappelli particolarissimi come il più piccolo -quello di una mini-bambola- ed il più grande -un parasole largo due metri- o pezzi unici come l’ultimo copricapo indossato da Fellini, insieme a cappelli comuni, da lavoro, da cerimonia, cilindri, fez, feluche e chepì a testimonianza di un’evoluzione che ha seguito di pari passo le mode e le esigenze delle varie epoche.
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FOTO IL MUSEO DEL CAPPELLO
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LA LAVORAZIONE DELLA PAGLIA
Il grano seminato a novembre veniva mietuto con la falce messoria già alla fine di giugno, poco prima della perfetta maturazione per ottenere un imbiancamento naturale.
I covoni portati sull'aia, con il carro, venivano appoggiati ad una scala di legno, posta orizzontalmente. Uomini, donne e ragazzi sfilavano manipoli di spighe mettendole tutte alla stessa altezza, un uomo li raccoglieva in un manipolo più grosso e con una falce tagliava via le spighe. I nodi dei culmi messi ad uno ad uno alla stessa altezza, con le forbici della potatura, venivano tagliati via sotto e sopra ed in ultimo si infilavano le guaine fogliari.
Le paglie erano graduate secondo il calibro al fine di avere una treccia omogenea.
Questa operazione si effettuava manualmente valutando ad occhio ma riusciva perfettamente soltanto con l'uso della “vagliatrice”. I fili di paglia eguagliati venivano legati in mazzetti che, aperti a ventaglio si lasciavano verticalmente nell'aia, esposti all'azione del sole e delle rugiade per un imbiancamento naturale. Se l'operatore riteneva l'imbiancamento non perfetto, ricorreva all'accensione di zolfo che poneva in casse di legno già piene di mazze di paglie per una intera notte.
Le paglie prima di essere intrecciate venivano bagnate affinché durante la lavorazione non si spezzassero. Le trecce più comuni erano quelle di quattro fili di paglia, di sette e di tredici. Una volta realizzata, la treccia veniva ripulita dagli spuntoni delle rimesse, con un coltello o con le forbici. Per rendere la treccia più malleabile alla cucitura (soprattutto a macchina) si passava attraverso due rulli di legno o di ferro (torchietto).
La treccia veniva venduta a matasse (pezze) ottenute dall'avvolgimento di essa su uno strumento di misura chiamato “passetto”.
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IL CAPPELLO RAMMAGLIATO
Il cappello tradizionale detto “della mietitura” veniva cucito a mano con un ago grosso e il refe; orlo contro orlo prendendo una maglia all'interno e una all'esterno.
Grazie all'abilità della cucitrice, i punti del refe risultavano invisibili scomparendo tra le maglie della treccia. In epoche più recenti la cucitura si effettuava con una macchina da cucire a pedali, poi successivamente motorizzata.
Si dava corretta forma e lucidatura, infilando il cappello in una forma di legno e lisciandolo, facendo pressione, con un mazzuolo di legno duro; inoltre si usava anche un ferro da stiro scaldato sulla brace.. Successivamente questa fase si è evoluta con l'utilizzo di una serie di presse di legno e ferro.
Il cappellaio ambulante di Montappone trasportava ed esponeva i cappelli su una stanga: una “pertica” di salice messa a bilancia su di un pungolo che veniva infisso nel terreno nei momenti di vendita o pausa.
Da Vincenzo Vitali Brancadoro anno 1860
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LOGO MOSTRA
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IL CAPPELLAIO PAZZO
La mostra, aperta lo scorso luglio in occasione della festa de 'Il cappello di paglia' e quest'anno affiancata dalla straordinaria esposizione tematica dedicata ai 'Cappelli del cinema', presenta pezzi sorprendenti realizzati da artisti, designer, architetti, artigiani, che non mancano di incantare i visitatori. Le bizzarre creazioni arrivano tutto il mondo, dai maestri cappellai marchigiani e italiani, da artisti europei, asiatici, sud americani. La mostra ha ricevuto apprezzamenti anche all'estero, tra cui Francia, Cina e Canada dove è stata ospite. All’interno si trova anche il cappello preferito del grande regista Federico Fellini, donato al Museo dalla sua famiglia
L'originale esposizione ideata da De Minicis, deve il suo nome all’omonimo personaggio di Alice nel paese delle meraviglie, personaggio simbolico del desiderio, nascosto in ognuno di noi, di liberarsi dai vincoli e dalle ristrettezze del tempo per esprimersi come vuole la fantasia. La visita all’esposizione è un'esperienza simile a quella dell’ingresso nel 'paese delle meraviglie', fuori dal tempo come ogni opera d’arte. Uno spazio originale e unico delle abilità e dell’estro di chi da sempre dedica le migliori energie ai cappelli di ogni tempo.
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GALLERIA FOTO MOSTRA
CARLOTTA.AN
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E’ un articolo bellissimo, competente, attraente e mettetecene tanti ancora di complimenti, quelli che volete. Tante grazie di cuore, Carlotta, E grazie anche a Giovanna, che ha curato il materiale, e si vede, con amore.
ke belli davvero quelli tipo audrey anni 60 rosa pesca ecc ho solo dato okkiatina celere e sono già colpita bang ita ciaooo
Bellissimo articolo Carlotta,certe cose non le sapevo…..ma vorrei dirti che anche noi in provincia di Modena, a Carpi abbiamo una antichissima tradizione del cappello di paglia, le prime notizie sono del 1500 , ma si ritiene che l’attività artigianale nasca già in epoca medioevale. Paglia ,nel nostro caso non era , ma leggere strisce di salice (salix alba) e di pioppo (populus tremula) ,uniformi per spessore e lunghezza e che costituivono la trama del cappello. Nel 1817 ,Bellodi inventò una macchina “da trucioli” che creava vere e proprie trecce di legno che variavano anche di colore ,spessore e “numero di fili”. Ora Carpi è diventata la capitale mondiale della maglieria ,ma l’origine è stata proprio quella dei cappelli di “truciolo”.
E’ molto bello e utile conoscere le varie tradizioni artigianali italiane , a volte misconosciute ….è un invito a “bosco” a continuare a percorrere questa interessantissima strada…Bravi !
Veramente interessanti, Franco, le notizie che ci dai sulle tradizioni delle strisce di salice e di pioppo impiegati per i cappelli, in quel di Carpi.
Penso che la conoscenza delle attività artigianali nelle varie Regioni del nostro Paese siano veramente affascinanti: a noi scoprirne sempre delle nuove.
A Carlotta, ho già detto quello che penso. Brava.
Franco grazie. Sarebbe bello se anche tu ci facessi conoscere l’arte del cappello di paglia di Carpi, con foto e storia… neppure io ne ero a conoscenza
Bellissima l’idea di fare articoli nel Bosco sulla storia dell’artigianato e le tradizioni italinane, condivido.
Ringrazio Sabrina e Giovanna dell’eccellente lavoro.
Franco….il cappello di paglia a “truciolo” anche se sono curiosissima,non andrò a cercarlo in internet perchè spero di vederlo qui. Vedi di non farci rimanere troppo con la curiosità…quindi
(salvo approvazione del Bosco ovviamente)
Carlotta presenta molto bene questo interessante servizio, penso a molti di noi sconosciuto e racconta nei minimi particolari come si realizza, con prodotti naturali e poveri, un cappello di moda, da lavoro e di diversi tipi. Possiamo ben dire, come nella nostra Italia, un piccolo paese, con la laboriosità della gente, possa diventare il centro del mondo per un prodotto artigianale. Per la realizzazione di questi cappelli c’è il gusto, la sapienza e la meticolosità di una comunità, l’artigiano, in questo caso, più che un mestiere lo definirei un artista, che con la propria abilità e fantasia crea un prodotto unico. Interessante anche il video e le immagini proposte
bellissimo articolo, molto interessante, tante cose non le sapevo,grazie.
Carlotta brava!! che dirti d’altro hanno già detto tutto quelli che mi hanno preceduto, interessante anche l’aggiunta di Franco Mazzuoli, anche se vivo poco lontano da Carpi non conoscevo questo tipo di artigianato.
Hanno gia’ detto tutto gli altri non mi resta che dire bravissime ,mi e’ piaciuto moltissimo .E’fatto talmente bene sembrava seguire tutte le fasi della lavorazione.Io poi ho sempre avuto una passione x i cap pelli!
Prima di tutto io sono per la LIBERTA.liberta di sceglire ognuno la propria strada senza essere giudicato sia uomo o donna .Se una donna decide liberamente di usare il suo corpo non mi deve riguardare.Ricordo che le femministe hanno combattuto anche per questo!Gli uomini per secoli hanno usato tutti i mezzi in loro possesso per prevaricare, questo reflusso di moralita mi lascia molto perplessa.Filippo Turati in tempi non sospetti diceva:”La ferocia dei moralisti e’ superata soltanto dalla loro stupidita’”capito .