Discutiamone…..economia e politica !!
Scritto da Scoiattolina il 14 Marzo 2011 | 27 commenti- commenta anche tu!
Il capitalismo, l’etica e la crisi
E’ un articolo di Giorgio Ruffolo, pubblicato su la Repubblica del 7 luglio 2010 alla pagina 29.
Gli argomenti sono difficili ma, poiché essi appartengono ai “fondamentali” dell’economia, non possiamo non affrontarli. Vuol dire che cercherò di chiosarli in parentesi per facilitare la lettura. Quanto poi alle risposte finali, dedicherò un piccolo commento perché è facile scivolare dall’analisi, per quanto dotta, al “nulla” della sola denuncia, facendo il gioco di questo o di quello (partiti, gruppi, interessi vari, ecc.). Proprio quello che non vogliamo fare noi di “Discutiamone”. Vogliamo solo che gli argomenti siano chiari e che gli stessi siano capiti. Poi ognuno può farsi le opinioni che crede e, auspicabilmente, che le esponga agli altri amici. L’augurio è che, anche in questi campi difficili, possa nascere un colloquio.
Scrive Ruffolo:
“Parto dalla affermazione apparentemente paradossale secondo cui la marea nera del Golfo del Messico (il petrolio allora
fuoriuscito da un tubo) è assimilabile alla crisi finanziaria mondiale. Ambedue sono pulsioni di un capitalismo sregolato. Nel primo caso la sregolatezza consiste nell’uso ideologicamente ed economicamente dissennato di risorse scarse (ma è davvero dissennata la ricerca di petrolio nelle viscere della terra in mancanza di risorse alternative?). Nel secondo, nel ricorso frenetico e altrettanto dissennato a risorse inesistenti: i risparmi delle generazioni future (perché gli impieghi vengono “forzati” comprendendo in essi anche risorse che non ci sono).
Nel primo caso il capitalismo si avvia a una crescita impossibile (più che impossibile, inauspicabile, direi). Nel secondo, ad una altrettanto impossibile mercatizzazione del futuro (un futuro che surrettiziamente viene compreso nel presente). Quanto al primo, sono ormai sotto gli occhi di tutti le conseguenze: effetto serra, inquinamento, rifiuti. Il secondo è stato invece, fino a ieri, vantato come il più prodigioso successo storico del capitalismo.
Il vero successo storico del capitalismo era stata la realizzazione, nei primi decenni del dopoguerra, in Occidente, di un patto tra capitalismo e democrazia, un compromesso socialdemocratico in Europa e liberaldemocratico negli Stati Uniti, che associava la promessa della prosperità economica a quella di una crescente equità sociale (intendiamoci, si parla di “patti” ma in realtà sono state politiche promosse dai governi, presupponenti intese che permeavano il funzionamento dei sistemi economici: a ognuno veniva riconosciuto il suo, in una logica di sviluppo condiviso).
Quel compromesso è stato spazzato via dalla liberazione dei movimenti di capitale (e delle persone, aggiungerei). La globalizzazione che ne è risultata ha rovesciato i rapporti di forza tra i Governi e le Multinazionali, tra il capitale e il lavoro, tra la
politica e l’economia. Ha generato un enorme e crescente squilibrio tra redditi di lavoro e redditi di capitale (io penso che abbia prodotto più che altro aspettative di guadagno più che guadagni reali e mutamenti nei ceti per cui le categorie tradizionali hanno assunto connotati diversi dal consueto nei vari paesi del mondo). Questo squilibrio avrebbe potuto resuscitare i conflitti rovinosi dell’anteguerra. Furono evitati grazie ad una “mossa del cavallo”: al ricorso massiccio e disinibito all’indebitamento (osservo che le mosse, in genere, non sono mai quelle, a tavolino, degli scacchi, ma quelle suggerite dalle esigenze di funzionamento dei sistemi: quelle, peraltro, dalle quali traggono sostentamento tutti, compresi i lavoratori, che dovrebbero trovare e realizzare “sistemi” alternativi al capitalismo prima di odiarlo così profondamente).
L’indebitamento spinse i consumi americani ben al di là dei limiti della produzione ignorando, grazie alla impunità del dollaro, il problema del disavanzo (in una sorta di follia collettiva, alla quale parteciparono anche molti “poveretti”, non certo capitalisti, invasati da impossibili guadagni attesi). L’indebitamento provocò la straordinaria espansione delle attività finanziarie fino al quadruplo del prodotto reale, costituendo la base del nuovo superpotere finanziario. La condizione di sostenibilità di questo colossale indebitamento era che il credito fosse continuamente rinnovato. Come l’economista Marc Bloch affermò, il capitalismo sembrava essere diventato il solo regime in cui i debiti non erano mai rimborsati. Illusione. Come le onde del mare, che si accavallano l’una sull’altra, anche le onde del debito erano destinate ad infrangersi contro la riva (con ciò determinando la fine di una grande illusione, che la sconfitta del comunismo rappresentasse ora e sempre il trionfo del capitalismo, o meglio, di tutti i sistemi a trazione capitalistica, praticamente dappertutto). Alla fine del primo decennio del secolo, la più
devastante crisi degli ultimi ottant’anni ha investito l’America propagandandosi poi nel mondo.
Questa volta, la reazione è stata fulminea. Gli Stati hanno pagato i conti della crisi. L’indebitamento si è spostato dal privato al pubblico (e non poteva essere altrimenti se i sistemi dovevano sopravvivere).
A differenza di quello privato, però, l’indebitamento pubblico viene subito a galla. E l’aspetto più grottesco è la sua denuncia da parte di coloro che ne sono stati beneficati (ma lasciamo perdere le denunce trattandosi di un cammino obbligato. Bisognerebbe, d’altra parte, far sì che gli effetti, i cosiddetti “sacrifici” ricadano su tutti, in modo concreto e visibile). In queste condizioni si pone il problema di come disciplinare la finanza senza frenare la crescita. Frenare la finanza significa ridurre i debiti, il che è terribilmente difficile sia per lo Stato che deve fronteggiare la reazione politica ai tagli della spesa pubblica, sia per le imprese, una grande parte delle quali contano sul ricorso al credito per chiudere i conti (quanta consapevolezza c’è di tutto questo nell’opinione pubblica?). Ma, soprattutto, frenare la finanza significa limitare drasticamente il potere delle banche di creare moneta (con i crediti di vario tipo), come hanno largamente fatto nelle più svariate e dissimulate forme. Finora nessuno ci ha neppure provato. E infine, se anche si riuscisse a ridurre l’indebitamento, dove trovare le risorse per finanziare gli investimenti necessari alla crescita (già, dove?). Temo che la scelta sarebbe quella tra rinunciarvi, accettando un lungo periodo di ristagno (vedi Giappone) o ricavare risorse dalla compressione dei redditi da lavoro e della spesa sociale (cosa più probabile). Non è ciò che minaccia di verificarsi in Europa ? (sì).
(A questo punto Ruffolo finisce con il richiamo ad una ahimé quanto improbabile prospettiva di mutamento globale dell’evoluzione possibile). Resta la prospettiva
più improbabile (lo riconosce): quella di riorientare l’economia verso uno sviluppo, come dice Pirani, “ragionevole e compatibile” ecologicamente e finanziariamente. Il che comporta grandi spostamenti nella distribuzione di redditi rispetto a quella attuale “paurosamente” squilibrata e nella riallocazione delle risorse, tra beni privati e beni sociali. Ma anche, e soprattutto, un riorientamento etico. Certo, è possibile. (io non credo che lo sia). Anzi, è necessario. Ma per chi ha passato tutta la vita a sostenere che questo è il vero problema, è difficile immaginare che il miracolo si compia nella parte che gli resta (la conclusione è da grande maestro, ma direi che il vero problema è di predisporre piani che si possano realizzare, con sistemi e alleanze che tengano e si mantengano e risultati fattibili. Ma anche questo impegno, pur se meno ideale di quello indicato da Ruffolo, non è neppure esso visibile all’orizzonte).
Io, per quanto mi riguarda, pur esponendo tutto il discorso di Ruffolo, assai pregevole ed onesto, ho insinuato elementi di discussione ma lascio volentieri la parola a voi amici. Ripeto, si tratta di argomenti difficili, ma chi dice che la realtà non lo sia? O vogliamo lasciare il campo solo agli specialisti? In fondo, delle decisioni e delle scelte, più o meno alternative, ne va dell’avvenire e della sopravvivenza di milioni di esseri umani.
Lorenzo.rm



