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Se i Sindacati dicono no

        E’ un articolo di Gianni Pardo, comparso sulla News Letter del Legno Storto il 17 marzo 2012.  Come sempre, spinge al dialogo e lo favorisce. Non c’è bisogno di essere d’accordo su questa o quella parte, o su questa o quella affermazione. Il testo ci mette sui binari e noi faremo il resto. Ecco l’articolo: “Nella situazione attuale, il governo, la Cgil, la Cisl, la Uil e la Confindustria dicono che, se non esistono certe condizioni minime, non firmano l’accordo. Purtroppo, le condizioni minime o non esistono per l’uno o non esistono per l’altro. Nell’antichità e nel Medio Evo si verificava qualcosa di simile con l’assedio. A volte esso si concludeva con un assalto vittorioso al castello, ma spesso si aveva uno stallo: l’assediante non riusciva ad entrare, l’assediato non riusciva a scacciarlo. E tuttavia alla lunga si manifestava una grande differenza, rispetto agli scacchi: l’assediato aveva bisogno di cibo e poteva arrendersi per fame; l’assediante era anch’esso in difficoltà, tanto che a volte desisteva. Per quanto riguarda la riforma del lavoro, la situazione non è del tutto dissimile. Il “no” dei sindacati ha indubbiamente un peso ma non è un’arma risolutiva. Il governo  può infatti inviare comunque la riforma al Parlamento, e porre la questione di fiducia. Il problema si sposterebbe allora dal tavolo delle trattative alla società, ai partiti e al Parlamento.   Se i sindacati, in caso di un atto di forza, fossero in grado di mobilitare la società al punto da paralizzare l’Italia con una serie di scioperi, fino a mettere in pericolo la pace sociale e la stabilità economica, l’esecutivo potrebbe essere indotto a cedere. Ma i sindacati hanno ancora questo seguito? Essi avrebbero certo l’entusiastico consenso di personaggi esagitati come Landini della Fiom o i politici di Sinistra e Libertà, per non parlare dei fossili di Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani, ma non è detto che avrebbero il sostegno del Pd. E questo potrebbe pesare parecchio, sia nel quantum delle adesioni alle manifestazioni, sia nel giudizio che i giornali darebbero della protesta. Si è visto con le manifestazioni Anti-Tav   Il problema principale dunque non riguarda i sindacati o gli extra-parlamentari ma i tre partiti della maggioranza. Una volta che la riforma fosse definita, magari dopo l’abbandono del tavolo dei negoziati da parte della Cgil, che farebbe il Pd? Un tempo si diceva che la Cgil era la cinghia di trasmissione del Pci, poi si è detto che il Pd è la cinghia di trasmissione della Cgil: ora Bersani e i suoi avrebbero il coraggio di disobbedire al “loro” sindacato e a una buona parte della loro base, allevata nel più utopico massimalismo? Se dovessero sposare la causa della Cgil poi dovrebbero votare la sfiducia a Monti. E questo probabilmente non basterebbe neanche a far cadere il governo, perché il Pdl (da sempre desideroso di attuare quella riforma) e l’Udc sarebbero in grado di confermare la fiducia all’esecutivo.     La conseguenza sarebbe che il provvedimento passerebbe comunque e la situazione politica sarebbe totalmente cambiata. Il governo non sarebbe più l’espressione di una maggioranza tripartita ma di un centro-destra sostenuto da Pdl e Udc, cosa di cui sarebbe felice Silvio Berlusconi; il Pd invece sarebbe indicato come il partito degli sfascisti, il partito di quelli che non vogliono conformarsi ai pressanti consigli dell’Europa, il partito di quelli che vogliono fare fallire l’Italia come la Grecia. Pessimo affare. Se invece il Pd decidesse di votare la fiducia al governo Monti, se pure condendo la decisione con tutta la retorica possibile a proposito del dovere di salvare la Patria, di fatto si attuerebbe la più grave frattura fra il Pd e la Cgil dell’era repubblicana. La conseguenza più ovvia sarebbe che soprattutto la sinistra estrema ed extraparlamentare griderebbe che il Pd non è affatto “il partito dei lavoratori”, ma “il partito dei padroni”, “il servo dei capitalisti”, “l’alleato della Confindustria” e, ancora peggio, uno che ha fatto un favore a Berlusconi. Se non è un pessimo affare, certo è una gatta da pelare. In tutto questo frangente il governo potrebbe rimanere sereno e tirare diritto. Infatti, pretendendosi tecnico,  non dovrebbe mirare a rimanere al potere dopo le elezioni; dovrebbe essere pronto a fare le valigie, se battuto in Parlamento; e infine, più semplicemente, dovrebbe essere disposto a continuare a governare se pure con una maggioranza meno grande. Ma per profittare di questa comoda posizione dovrebbe essere capace di dimostrare fermezza. E questa non è una qualità che abbondi, a sud delle Alpi”. Questo è l’articolo. Ne vogliamo parlare?          
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