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La Domenica del Bosco

       

Era una cupa mattina di novembre e correva l’anno 1869 in quel del Veneto quando nacque Adriano in una operosa famiglia di solerti lavoratori che, grazie alla loro produttività, potevano definirsi medio borghese o, perlomeno, di agiate condizioni economico sociali. Erano trascorsi otto anni dalla proclamazione dell’Unità d’Italia, ovvero tre anni dall’annessione del Veneto al nuovo Regno d’Italia. Erano anni di grandi cambiamenti organizzativi, amministrativi, militari e sociali in questa nuova Italia ma gli assestamenti definitivi sarebbero avvenuti nel progredire dei tempi senza sconvolgimenti immediati. Per l’umile gente la vita procedeva con il solito problema, quello di doversi procurare il pane quotidiano con affanni e fatica. Qualche anno dopo Adriano nacque anche il fratello che venne chiamato Umberto e la famiglia, fervente cattolica, nel cercare di programmare il futuro dei figli pensava di avviare Adriano agli studi ecclesiastici mentre Umberto era destinato a studi di natura finanziaria.

Adriano si ribellò e rifiutò categoricamente di intraprendere gli studi per fare il prete e, in contrasto con il volere familiare, andò a frequentare una scuola tecnico-industriale che lo avrebbe portato a fare il tecnico specializzato nella nascente industria dell’epoca. Al termine degli studi, infatti, fu assunto da una fiorente ditta che produceva, tra le altre cose, anche apparecchiature per la produzione del ghiaccio. Lastroni di ghiaccio di 12 o 24 chili che venivano usati per la refrigerazione di alimenti e bevande (la nascita dei frigoriferi industriali e domestici erano ancora di là da venire ma esistevano le cosiddette ‘ghiacciaie(1), in uso soprattutto nei bar ma anche in qualche  casa di benestanti. Detti macchinari venivano poi venduti in tutto il nuovo Regno ed erano gli stessi tecnici della Ditta che andavano ad effettuarne l’istallazione ed eseguire il collaudo. Adriano per le sue provate capacità godeva della piena fiducia della Ditta ed aveva già effettuato parecchie installazioni in diverse località della penisola. Ogni volta andava secondo gli ordini del Paròn, effettuava il montaggio, consegnava le apparecchiature collaudate e rientrava in sede per proseguire il suo lavoro.

All’inizio del nuovo secolo, anno 1901, fu inviato a Cagliari per il montaggio della prima “fabbrica del ghiaccio” in Sardegna. Il viaggio non fu molto piacevole, l’attraversamento del Tirreno da Civitavecchia a Terranova (la Olbia di oggi), sulle navi dell’epoca non era stata proprio una crociera e Adriano, poco avvezzo a viaggiare su mezzi marittimi, soffrì pure il mal di mare. Il proseguimento del viaggio da Olbia a Cagliari completò l’esperienza negativa della trasferta. I macchinari erano già arrivati a Cagliari con altri mezzi di trasporto via mare e Adriano si mise all’opera per l’installazione e mentre lavorava pensava, tra sé, che non sarebbe mai più tornato in Sardegna. Completata l’opera e verificato che tutto funzionasse bene e che quindi era avviata la produzione dei lastroni di ghiaccio, Adriano andò dai padroni capitalisti che avevano investito e avviato la nuova attività, per le formalità di rito della consegna degli impianti funzionanti e per il saluto alfine di poter rientrare nella sua amata Venezia. Gli imprenditori erano consapevoli che in Sardegna non poteva esserci personale specializzato nel settore e che, in caso di guasto alle nuove apparecchiature avrebbero dovuto attendere l’arrivo del tecnico dal continente con conseguenti lunghi tempi di fermo che non potevano permettersi. Nella loro lungimiranza pensarono bene di proporre ad Adriano di restare in Sardegna, lo avrebbero assunto loro con una buona paga superiore a quella finora percepita nella Ditta veneta. Adriano ringraziò per l’offerta ma rifiutò dicendo che di là aveva la sua famiglia. Vada e porti qui anche sua moglie, gli dissero  aumentando l’offerta.

Adriano disse ancora no, dicendo che non aveva la moglie ma la fidanzata e che non  avrebbe potuta portarla con sé se non sposandola. Vada si sposi e torni risposero i proponenti. Al che Adriano disse “Non è così semplice, ci vogliono gli sghei (la moneta, i soldi). Ma i furbi imprenditori riuscirono a convincere Adriano dandogli  allora, ricordiamo che siamo nel 1901, ben 300 lire perché tornasse a casa, si sposasse per tornare da loro a lavorare nella Ditta Bachisio Marullo & company. Adriano allora rincarò la dose e riuscì a strappare anche la promessa che gli avrebbero assicurato pure un alloggio per la nuova famiglia. E così fu che nel giro di un mese il bravo tecnico si era trasferito a Cagliari con la sua mogliettina Maria, una florida ragazzina di poco più di 15 anni mentre lui era sulla soglia dei 33.  È stata una coppia molto unita e felice ed ebbero cinque figli: tre maschi e due femmine nati  nel periodo dal 1905 al 1920, a cavallo della Prima Guerra Mondiale. Nel corso degli anni il salario percepito da Adriano si dimostrò che non era poi tanto favorevole e sufficiente per sopperire alle esigenze di una famiglia che cresceva velocemente, ma la giovane Maria, di estrazione della campagna veneta, malgrado le difficoltà di integrarsi con la gente di Sardegna per effetto delle enormi differenze linguistico/dialettali, mise in piedi un allevamento di galline ovaiole, altro pollame e conigli che gli permise di contribuire in  modo proficuo alla economia familiare. Anche allora i periodi di crisi si susseguivano ad altri di scarso benessere ma si riusciva a vivere. Le 300 lire che furono anticipate ad Adriano per poter effettuare il matrimonio gli furono recuperate un po’ per volta dal salario mensile. Infine il villino che gli era stato assegnato come alloggio, negli anni successivi gli fu tolto perché serviva ad una figlia dei ‘padroni’ che si sposava e Adriano dovette trasferirsi in casa d’affitto. Comunque nella loro casa non sono mai venute meno le tradizioni venete, si mangiava costantemente la polenta con tutte le varianti dei loro menù regionali.

Il fratello Umberto completò i suoi studi di economia in modo veramente brillante, si sposò anch’egli e proprio per le sue capacità professionali fu chiamato a Roma e andò a prestare la sua opera come funzionario amministrativo proprio al Ministero delle Finanze della Nuova Italia con Roma capitale. Adriano non si spostò più dalla Sardegna fece solo un altro viaggio via mare da Cagliari a Civitavecchia per recarsi a Roma in occasione del decesso del fratello Umberto. Maria sentiva in cuor suo la nostalgia della sua terra e della sua gente ma non lo dava a vedere: la sua famiglia era qui ed era felice col suo amato Adriano. Donna molto pratica e concreta, si dedicava al disbrigo delle faccende domestiche ma trovava anche il tempo di dedicarsi alla lettura del giornale quotidiano e dei due settimanali che andavano allora per la maggiore:  “La Domenica del Corriere” e “La Tribuna Illustrata” che nella sua casa non mancavano mai. Più tardi, con l’avvento della radio, aggiunse nel suo relax l’ascolto di musiche e commedie, senza trascurare la Santa Messa. Adriano, da par suo, si dedicava completamente alla famiglia. Si alzava tutti i giorni feriali alle cinque del mattino e si recava in Ditta per il turno di lavoro dalle 6 alle 14. Nei mesi invernali utilizzava il tram ma quando il tempo era buono preferiva utilizzare la bicicletta che era attrezzata per trasportare una mezza lastra di ghiaccio e la spesa della quale si approvvigionava nel Civico Mercato adiacente alla fabbrica del ghiaccio dove egli prestava la sua opera. Proprio per le sue molteplici capacità professionali, la Ditta ebbe modo di utilizzarlo anche per il montaggio di altri macchinari negli stabilimenti messi in piedi dalla stessa Società: la “Birreria Ichnusa” e la “Cantina Vinalcool” sempre nell’area di Cagliari. La sera Adriano si dedicava ad altri lavori giusto per arrotondare l’insufficiente salario. Nel periodo dell’avvento della illuminazione elettrica e quindi del passaggio dalla illuminazione a lumi ad olio, petrolio, carburo o steariche a quello delle lampadine, conoscendo le sue capacità, era usuale che Adriano venisse chiamato per l’installazione degli impianti nelle abitazioni private e la predisposizione dell’allaccio che avrebbe poi effettuato la Società Elettrica con l’installazione del ‘contatore’. 

Il pagamento per tali lavori non sempre era in vil moneta ma spesso si compensava con qualche sacchetto di legumi, un po’ di uova o una gallina da brodo. Molte famiglie non potevano permettersi neppure questo e il bravo Adriano dal cuore nobile si inteneriva e lasciava perdere: “Me lo pagherai quando puoi” diceva e tornava a cassa a mani vuote. La Maria, in questi casi si insospettiva e non mancava il rimprovero e la scenata di sottile gelosia. Adriano era un uomo vigoroso e piacente, cioè quello che poteva definirsi un bell’uomo e Maria pensava che qualche gentile signora potesse ricompensarlo in altro modo. Oggi non so, ma in tempi andati poteva succedere anche questo e quindi nell’animo di Maria, innamorata di suo marito, potevano nascere sospetti e gelosie anche se non giustificati. Non si è mai avuta conferma che il buon Adriano si prestasse a simili baratti, anche lui era innamorato della sua bella mogliettina e gli è rimasto sempre fedele.

La Sardegna è stata sempre una terra di emigranti: molti sardi hanno lasciato la loro regione e sono andati in giro per il mondo in cerca di un lavoro per guadagnarsi da vivere, subendo molto spesso, come succede in questi casi, sacrifici e umiliazioni. La vicenda di Adriano era stato un caso di emigrazione al contrario, dal suo lavoro aveva ricevuto delle belle soddisfazioni ma non erano mancati anche per lui tanti bocconi amari. La sua tempra forte gli permise di superare momenti molto difficili. Continuò a lavorare sempre a Cagliari anche sotto le bombe nel periodo della Seconda Guerra Mondiale e lo tennero in Ditta fino al compimento degli 80 anni, cioè fino a quando maturò finalmente il diritto alla pensione in relazione al periodo di contributi assicurativi che venne coperto solo ad iniziare dagli anni ’30.

Ci sarebbe ancora tanto da dire ma mi fermo qui e chiedo venia agli amici/amiche di Eldy per aver voluto raccontare questa storia che ho avuto modo di conoscere molto da vicino e può considerarsi uno spaccato di vita del 20° secolo.

Grazie per la vostra pazienza ed attenzione.

                                                                  Giuseppe Cagliari

 

(1) - una sorta di cassettone di legno con coperchio, completamente rivestito all’interno di lamiera zingata e stagnata, dentro il quale si mettevano insieme gli alimenti e le bevande da refrigerare con il ghiaccio che veniva tagliato in tanti pezzetti con un apposito martello spaccaghiaccio. Nelle case che non disponevano della ghiacciaia si usava un capiente secchio che poteva assolvere le stesse funzioni.

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