LA DOMENICA DEL BOSCO
Scritto da Giuseppe il 16 Giugno 2013 | 35 commenti- commenta anche tu!
C’era una volta…. si, potrebbe iniziare proprio così questo bel racconto della nostra cara amica (avete già indovinato chi può essere) ma vi lascio un po’ in suspense. Ci racconta di come eravamo, ovvero di come erano coloro che ci hanno preceduto di qualche generazione, di come si viveva e com’era la vita di allora. Nel leggerlo ci consente pure di fare il confronto con la vita di oggi e, alla fine, risulta palese una sottile morale.
Viene naturale porre la domanda:
“Si sta meglio oggi o si stava meglio prima?”
A voi la risposta, grazie Amiche e Amici.
La casa dove io sono cresciuta, era la prima casa costruita in quella via, la strada era sterrata e il terreno che papà aveva acquistato partiva dall'inizio della strada e scendeva fino alla nostra casa, ma la paura di non poter pagare tutto spinse i miei genitori a venderne un pezzetto al Signor Giuseppe (detto Pin). Nel tempo le case si sono moltiplicate ora è una via piena di casette.
Il nome dato alla via era un nome particolare "Via Ca' matta..." in fondo, proprio al confine con un'altro paese c'era una casa rurale, divisa fra tanti proprietari, sembra che in quel casale ci fossero frequenti e animate discussioni, da qui il nome Ca' matta...
Eravamo lontani dal centro del paese, andavamo a rifornirci in un piccolo negozio di alimentari dove però si trovava di tutto, forse un po' più caro, ma, tutto sommato, comodo per le esigenze di allora. La signora che lo gestiva si chiamava Albertina, vendeva molte cose sfuse, la farina bianca 00, lo zucchero, il pane grattugiato, la farina della polenta, erano in una madia di legno nocciola con i vetri che scorrevano e con le palette, ognuna per ogni prodotto. Metteva il prodotto richiesto in un foglio di carta che poi arrotolava con le dita, ancora oggi ricordo la rapidità nell'arrotolare quella carta affinché non ne fuoriuscisse il contenuto. Non c'erano i registratori di cassa si faceva la somma degli articoli acquistati che veniva segnata su un libretto che la mamma pagava ad ogni fine mese.
Poi c'era il Cesarino, era un macellaio, ma in negozio non c'era quasi mai, o era dietro, in cella frigorifera a preparare la carne, oppure lo dovevamo cercare al bar della pizzeria, di fianco all'alimentari, la mamma ogni tanto, molto di rado comperava qualche bistecca e 500gr di spezzatino di manzo che poi cucinava con patate e piselli, erano sicuramente più le patate che gli spezzatini... era solita dire: "Chiudi gli occhi e manda giù."
Era una frazione isolata e venivano un sacco di ambulanti, il Guido formaggiaio, veniva due volte la settimana, vendeva affettati e formaggio, latte e derivati del latte, burro e panna poi c'era il mercoledì, non so con quale nome avrei potuto chiamare questo signore che vendeva abiti per tutti. Lo chiamavano il mercoledì... c'era Geremia che portava il pane il mattino e il gelato nella stagione estiva, solo gelato fior di latte, alla fragola e al limone. Tutti i martedì e il venerdì passava l'ortolano che a gran voce urlava i prodotti che aveva sul camion, anche lui aveva un soprannome "il Cecini".
Il venditore ambulante
Il giornalaio che consegnava il quotidiano a chi lo ordinava e l'arrotino-ombrellaio che passava ogni tanto, come ogni tanto passava chi con un camion vendeva di tutto, scope, scale apriscatole, palloni, corda per saltare e quel filo ricoperto da una plastica per stendere i panni.
In fondo alla via c'era un pozzo una volta si usava per attingere l'acqua ora serviva per bagnare i campi ed era a disposizione di tutti. La mamma ci proibiva di avvicinarci e... come una legge non bene definita, facevamo l'esatto contrario...
I bucaneve
C'era tanto verde e già a fine di gennaio scendevano sulle rive del Seveso per cogliere i bucaneve, quante paure prendeva la mamma non vedendoci tornare, poi c'erano le viole, belle, scure e profumate, e i campi coltivati a frumento e in mezzo tanti fiordalisi, che andavamo a cogliere creando qualche danno, facendo attenzione al contadino che più di una volta ci ha fatto scappare di corsa, il fieno si caricava sul carretto e veniva portato in cascina oppure si facevano dei covoni in mezzo al prato con un bastone in mezzo, quante volte ci siamo tuffati e abbiamo giocato divertendoci un mondo, però, coloro che con tanta fatica lo dovevano per l'ennesima volta ricomporre... erano meno divertiti...
L'albero di ciliege
Ma il periodo che più mi piaceva era quando maturavano le ciliegie, una signora ne aveva una infinità di piante e durante il pomeriggio quando lei andava a fare la pennichella perché si alzava molto presto per accudire le mucche, noi, eravamo un bel gruppetto di ragazzini, salivamo su queste piante, e rubavamo le ciliegie, mi sembra di sentirne ancora il sapore, la signora si chiamava Maria, era una signora della Valtellina aveva capelli grigi faceva le trecce che poi arrotolava in una crocchia sulla nuca. Era davvero un donnone e portava gonne arricciate in vita e mai, l'ho vista con un paio di scarpe o ciabatte, portava sempre scarponi come quelli che si usano per andare in montagna, aveva occhi neri e vispi, quando ci vedeva sulle sue piante gridava:
"Un giorno o l'altro vi prendo, monelli che non siete altro," La sua mole non le consentiva di correre, alzava quella gonna e sotto aveva una sottoveste tutta rattoppata con pezze di diverso colore, rammendava tutto senza guardare tanto per il sottile, noi avevamo la velocità della gioventù dalla nostra, ci fermavamo a guardarla, quante risate, rossi in viso col fiatone, con qualche braccio o gamba graffiate dai rami dei ciliegi. Sapevamo che Maria avrebbe avvisato i nostri genitori, che puntualmente ci mettevano in castigo e qualche sculacciata era di normale amministrazione.
Non era per le ciliegie, una pianta l'avevamo anche noi a casa, era per il gusto di trasgredire, per scappare via.
Quando Maria seppe che mi sposavo, venne con un pacchettino-regalo, nonostante i dispetti che le avevo fatto da piccola, mi voleva bene. Dentro c'erano un cucchiaio, un forchettone e un coltello per la polenta, tutti di legno, diceva che portavano bene... Era questa semplicità che ci distingueva, malgrado le monellerie, ci perdonavano, non c'era astio, era logico e giusto che ci sgridassero, ma senza cattiveria di fondo, eravamo bambini, queste stesse persone che subivano le nostre scorrerie, comprendevano che erano ragazzate, perché in gioventù le avevano fatte anche loro. Non era mai colpa di uno solo, eravamo colpevoli tutti in egual misura, ora invece sembra sempre che nessuno abbia più colpe, ognuno di noi giustifica i propri figli.
Pacchetto regalo
La domenica mattina, la mamma ci svegliava, dovevamo andare a Messa, non ci volevo andare, mi vestiva uguale a mia sorella, e non eravamo gemelle, ma era vietato recriminare, mia sorella Emanuela era già grande si truccava e si vestiva da signorina, io e Cinzia con la stessa gonnellina, (ho sempre odiato le gonne), le calze coi disegnini e le scarpe uguali, forse la maglia qualche volta era diversa, andavamo in paese a piedi, noi tre davanti e papà dietro, poi noi in chiesa e lui andava in cooperativa a giocare alle bocce. Ricordo un particolare... una mia compagna di scuola, anche lei in chiesa con sua sorella, anche loro due vestite uguali, ma con un accessorio in più avevano le scarpe di vernice rossa e la borsettina uguale, ricordo di aver provato invidia per quell'accessorio che loro avevano e io no, ma è durato poco fortunatamente.
Uscivamo dalla chiesa e di corsa ci recavamo dalla Matilde una signorina che vendeva giornali, quaderni e caramelle sfuse, con 50 lire comperavi stringhe di liquirizia, caramelle gommose e frutti di gelatina e delle caramelle dalle forme di animali di liquirizia dura chiamati "esabesi ". Poi sono cresciuta e mi mandavano a messa da sola, ma dopo aver saputo che bigiavo, dovevo andare in chiesa, tornare a casa e spiegare tutto quello che avevano detto, anche durante la predica, mi hanno messo anche nel coro, e finché non mi sono sposata non ho potuto mancare mai.


