L’angolo del dialogo – Fatti e opinioni
Scritto da giovanna3rm il 25 Giugno 2013 | 29 commenti- commenta anche tu!



Lo leggo sul Messaggero del giorno 20 giugno 2013. Sapete che Gervaso si autodefinisce il “grillo parlante”. In questa sua veste appone un altro sottotitolo “Chi gode e si contenta non godrà mai abbastanza”. Ma veniamo all’intero articolo, che riproduco:
“Oggi mi ergerò a bardo e paladino dell’amore platonico. E anche a sacerdote. Sul suo divino altare, da almeno due lustri, sacrifico con l’assiduità di un certosino e la perseveranza di un benedettino. L’amore platonico è la sublimazione del più volgare anelito: quello ai piaceri della carne, indegni di una natura sana e virtuosa, che non cede alle esche di Belzebù e ne denuncia le sordide avance, i subdoli tranelli. Lasciatemi ancora una volta, cari lettori e carissime lettrici, citare l’aureo motto di quel sublime censore dei caduchi appetiti degli ingannevoli sensi che fu Lord Chesterfield: “La posizione è ridicola, il piacere effimero, la fatica tanta”.
Chi può, in buona fede, negare che l’amplesso, qualunque posizione si assuma, da quella canonica del missionario a quella più acrobatica e blasfema del lampadario (il più periglioso dei lanci), chi può negare che susciti un’incontenibile ilarità? E chi può negare la fugace estasi di un amplesso che, se durasse più di quello che per naturale e salutare decreto dura, provocherebbe il più atroce dei tormenti? La natura è provvida, anche se spesso travia il genere umano, volgendone i desideri verso fatui rapimenti. Che la fatica sia tanta, solo un camallo genovese o un buttero maremmano potrebbero negarlo.
Quanti acciacchi mi sarei risparmiato se non mi fossi concesso con tanta deprecabile facilità e peccaminosa voluttà ai fatui pungoli di Venere, se non mi fossi esposto con tanta sacrilega leggerezza ai dardi del perfido Cupido. Quanti libri in più (altro che cinquanta) avrei scritto se avessi passato più tempo davanti alla mia vecchia e amatissima Lettera 22 che sul corpo della più bella donna del mondo. Ma allora la mia carne, oggi frolla e stagionata, crepitava. Sullo spiedo dava il meglio di sé e quando si calava nel talamo coniugale o nell’adulterina alcova diventava un boccone più ghiotto di quelli che escono dai fornelli del mio amico Augustarello, redivivo Artusi.
Non nego (sarei spudoratamentemendace) di aver provato attimi di celestiale euforia, di avere goduto d’istanti di ellenica felicità. Non lo nego, ma ogni frutto ha la sua stagione e non si può dire di aver vissuto se, passati i sessantanni (nel mio caso, sessantatré) non si tirano i remi, cioè il remo, in barca, se non si chiude la partita dei sensi e non si apre quella della penitenza e della redenzione. Oggi, se vedessi una donna, la più maliosa e fascinosa, la più accattivante e ammiccante che, per una svista o in un impeto di follia, mi offrisse i suoi favori io, manifestandole tutta la mia gratitudine che simili gesti raccomandano e impongono, li rifiuterei con galante fermezza.

