LA DOMENICA DEL BOSCO
Scritto da Giuseppe il 8 Dicembre 2013 | 27 commenti- commenta anche tu!


Le cronache, sia radiotelevisive che su carta stampata, ci riportano spesso episodi classificati come malasanità, ma cosa si nasconde dietro questa parola?
È vero che in molti casi c’è motivo di addebitare le sofferenze e purtroppo, a volte, anche la morte di un malcapitato individuo, adulto o bambino che sia, per tardivo intervento dei sanitari, per mancato o tempestivo riconoscimento del male anche da parte di Soloni della medicina pure strapagati, alla carenze di strutture mediche adeguate e via discorrendo. Oggi non vogliamo aprire un dibattito o entrare nel merito del funzionamento della sanità in Italia o all’estero, vogliamo solo proporvi il racconto che ci ha inviato Gabriella e che, in un modo o nell’altro può riguardare il settore della medicina. Vi prego di accettare il mio invito a leggerlo per trarre le debite conclusioni ed esprimere le vostre considerazioni personali. Grazie.
Chiamerò con il nome di Maria la signora a cui è successa questa storia. Aveva frequentato le scuole medie che a quei tempi era già bello avere un pezzetto di diploma in mano. Le scuole medie erano nei capoluoghi di valle delle nostre montagne. Era duro persino arrivarci per chi abitava lontano. Dovevano alzarsi presto e arrivare in corriera o treno. Forse lo stesso succedeva in città, ma io racconto quello che succedeva da noi. C’erano poi i fortunati che abitavano nel capoluogo e allora bastava fare una bella salita per arrivare davanti ad un grande edificio grigio dove sentivi tutti i dialetti della valle. Questo per spiegare quanto doveva camminare Maria per arrivare a scuola e avere il suo piccolo titolo di studio che gli avrebbe consentito di poter fare, poi, un lavoro dignitoso al quale aspirava tanto e che aveva desiderato fin da piccola. Con grande determinazione era riuscita nel suo intento.
Il lavoro le piaceva ma la stancava, era una pendolare, avanti e indietro con il treno tutti i giorni. Forse la stanchezza di diversi anni di questo lavoro o forse solo, che il male doveva arrivare, un giorno si senti, di colpo, cadere per terra. Per settimane rimase in ospedale, il colpo alla testa era stato brutto. Rimase in coma per un paio di giorni, ma, anche dopo l’uscita dal coma, Maria, non capiva, non ricordava e non riconosceva neppure i parenti più stretti: una totale mancanza di memoria.
I dottori, dapprima non capirono quello che stava accadendo, ma poi sospettarono un male, non grave, ma subdolo. Venne portata in tanti ospedali dove tutti si trovarono d’accordo sul tipo di male ma nessuno trovava il farmaco e la cura giusta. Fu visitata in Italia e all’estero, da dottori onesti e altri forse un po' meno, senza trovare la soluzione risolutiva.
Seguiva le cure che, di volta in volta, le venivano prescritte e ingoiava tante pastiglie ma nessuna che producesse l’effetto desiderato. Alle volte veniva ricoverata anche per un mese, per trovare il giusto farmaco o il giusto dosaggio, ma era proprio in quei frangenti che veniva intossicata dal tipo o l’eccesso di farmaci. Prove su prove e in ospedale: era diventata una sorta di cavia umana!!
Di bello era successo una sola cosa, aveva imparato a leggere libri e non solo riviste. Si accorgeva che poteva leggere solo per un’ora, perché poi il male ricominciava. Leggeva con attenzione, per un’ora, per poi riposare, anche se a volte l’ansia di finire il libro era tanta ma doveva ferrmarsi. Il male era sempre dietro l’angolo. Quando era sola in casa, i parenti le telefonavano spesso, per la sicurezza di Maria e la loro. Intanto la libreria di casa cominciava ad essere colma di libri e non solo di foto o bei sopramobili. Gli anni passavano ma il male persisteva, era iniziato nel lontano 1971.
Pastiglie continuava a prenderne sempre tante, ma i miglioramenti erano pochi se non appena microscopici. Bastava un leggero stress e arrivava l’autoambulanza per portarla via, alle volte per un day hospital e altre volte per un paio di settimane. Il male non dava tregua, sembrava volesse farsi gioco di lei. Un giorno era ricoverata, come spesso accadeva, quando un giovane dottore le si avvicina, le fa cenno di tacere, in mano aveva un biglietto, glielo mette nella tasca della vestaglia e si allontana. Maria guarda che c’è scritto di tanto segreto, vede in nome e l’indirizzo di un dottore Veneto. Era uno dei tanti ospedali nei quali era entrata e uscita altre volte, ma erano passati tanti anni, chissà, rinasce un barlume di speranza.
Termina la degenza nell’ospedale dove era ricoverata, viene dimessa e con un “Ciao” se ne và, ormai la conoscono, ed il saluto confidenziale è ammesso. I suoi medici curanti non sanno che lei ha un biglietto in mano che per lei rappresenta l’ultima speranza. Arrivata a casa chiama subito Verona, è fortunata, dopo pochi giorni, può essere visitata. Sapendo ormai la prassi prepara tutti i certificati secondo il suo modo di vedere e per quello che ricorda, i più importanti. Arriva il giorno di partire, entra nell’ospedale conosciuto, attende il suo turno chiedendosi, capiranno questa volta? La chiamano, entra da un dottore giovane, sembra quello che le ha dato l’indirizzo ma non è lui, dentro di sé, solo una speranza. Come ha capito il suo giovane collega, capirà anche questo che non era curata bene?
Intanto Maria consegna tutti i fogli al dottore. Dentro di sé, si dice coraggio, ne hai passate tante e la speranza è l’ultima a morire. Il dottore sta leggendo a momenti con attenzione, ma in altre guarda la firma e fa scivolare il foglio. Finito di leggere, le chiede di poterla visitare. Finita la visita, un solo commento. Signora tutti hanno provato a curarla, vedo che è passata da semplici aperitivi a barbiturici, che più di una volta l’hanno intossicata. Cominciamo una nuova cura? La signora Maria non attendeva altro, riprovare una nuova cura con la speranza che essendo un dottore giovane avesse studiato un modo nuovo, per aprirle l’orizzonte.
Due anni dopo era guarita, anche se pillole ne deve prendere ancora, ma la sirena dell’autolettiga con quel suono che per lei era diventato lugubre, finalmente, non arriva più. Per trent’anni esatti era stata sottoposta a cure non giuste, non solo da dottori, ma anche da signori professori e primari, spesso in privato e di conseguenza profumatamente remunerati.
Chi vuol capire capisca (denaro). Bravo dottore e non importa se non sei un professore. Ricorda sempre che sei il migliore!!
Questa è la storia della signora Maria, una signora che si è vista sfuggire la giovinezza, ma non la voglia di vivere.






