LA DOMENICA DEL BOSCO
Scritto da Giuseppe il 14 Dicembre 2014 | 22 commenti- commenta anche tu!
E' autunno le foglie cambiano colore, sui tralci tanti grappoli d'uva poi le foglie cadono e insieme a loro cadono anche i ricci pieni di castagne, nei boschi c'è vita, rumori di rami spezzati, fruscii di foglie spostate, voci di bimbi e di adulti, cesti pieni di frutti che la natura ci regala, castagne, noci, funghi e tartufi.
Non ho mai visto un tartufo da vicino né ne ho mai assaggiato e neppure sentito l’aroma.
Mi rendo conto della mia mancanza e per il momento mi limito ad informarmi, poi chissà che in futuro magari potrò assaggiarlo.
Il tartufo ha tradizioni antichissime, lo usavano i Sumeri(1) che lo mischiavano con orzo, lenticchie e ceci, i greci, i popoli arabi, e naturalmente i popoli latini. Plinio il vecchio, naturalista convinto, aveva coniato questa definizione:
“Il tartufo sta fra quelle cose che nascono ma non si possono seminare”.
Finché la scienza non ha saputo dare risposte precise sulla crescita di questo tubero, diverse erano le versioni di credenza popolare, che suscitava lunghissime discussioni, in alcuni periodi si temeva fosse pericoloso e velenoso, per questo definito cibo del diavolo o delle streghe.
Nonostante le dicerie però l'uso nelle cucine non venne mai limitato e divenne anche un regalo pregiato da donare ad ospiti illustri.
Tartufo bianco di Alba
Nel 1700, in Piemonte, si faceva grande uso del tartufo bianco, imitando la corte di Francia, considerato da tutte le corti d'Europa l'aglio del ricco, per il sapore agliaceo che emana.
A quei tempi se ne trovavano in grandi quantità, tanto che a Torino, i sovrani italiani invitavano, ospiti nobili di rango prestigioso, ambasciatori esteri, i quali potevano assistere o partecipare alle battute che organizzavano per piacere.
Si iniziò ad utilizzare i cani che grazie al loro olfatto si dimostrarono validi collaboratori nella ricerca del tartufo.
Venne utilizzato come dono di riguardo, sin da tempi molto antichi dal web:
Sant'Ambrogio ringraziava il vescovo di COMO San Felice per la bontà dei tartufi ricevuti.
Ma ha lusingato tantissimi esponenti della nostra storia
Il Conte Camillo Benso di Cavour nelle sue attività politiche utilizzò il tartufo come mezzo diplomatico, Gioacchino Rossini lo definì "Il Mozart dei funghi", lord Byron lo teneva sulla scrivania perché il suo profumo gli destasse la creatività, Alexandre Dumas lo definì il “Sancta Santorum della tavola” (fonte web)
Ma anche nel nostro secolo, il tartufo ha giocato un ruolo importante. Fu un albergatore, Giacomo Morra, che cominciò denominando il tartufo bianco " Tartufo d'Alba", fu il primo ad intuire quanto potesse essere importante il tartufo in una zona come le Langhe, promuovendo il tartufo, promuoveva tutti i prodotti della zona, vino, carni, formaggi, nocciole e torrone.
Nei primi anni si appoggiò alle feste annuali vendemmiali ma nel 1930 diventava la Fiera dei tartufi d'Alba.
Cane da tartufo
Sviluppando tutto il suo sapere, fondò una scuola pratica di cucina, attraverso lunghi tirocini si apprendeva l'arte del cucinare, e si acquisiva la patente o il diploma di chef, inventando o riproponendo piatti antichi della tradizione delle Langhe e di Alba in particolare. Un personaggio che ha fatto del tartufo la propria bandiera, nel suo albergo e ristorante sono passati politici, scrittori, personaggi importanti, turisti buongustai di tutto il mondo.
La stampa inglese già nel 1933 mandava inviati per conoscere i Tartufi e descrivere ampiamente la Fiera ed un giornalista del Times scriveva nel novembre del 1933 sul suo giornale: le Langhe producono i tartufi bianchi d'Alba, i più profumati ed i più rinomati del mondo e quando nel 1936 un giornalista italiano chiese a Giacomo Morra perché il Tartufo d'Alba è il migliore del mondo, rispose con disarmante semplicità: "Lo chieda al Creatore!" (fonte web)
Tartufi bianchi d'Alba
La storia di questo uomo, figlio di un mezzadro, che con l'impegno e non poche difficoltà, da oste diventò ristoratore, inventando parecchi antipasti, poi albergatore, e commerciante di tartufi bianchi di Alba, e neri che si faceva spedire da Norcia, per servire il mercato francese, studiò finché scoprì il modo di conservarli, riuscì a raggiungere gli Stati Uniti con tartufi freschi e conservati.
Era l'ambasciatore del tartufo italiano nel mondo. Definito come il Re dei tartufi, seguendo l'esempio i regnanti nei secoli precedenti, che lo utilizzavano come dono diplomatico, Giacomo Morra decise di regalare ogni anno un grosso tartufo a uomini potenti, oppure a grandi artisti nel mondo.



