Archive for gennaio 21st, 2015

L’Angolo del dialogo – Politica ed Economia

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E’ un articolo di Davide Giacalone pubblicato nella News letter del Legno Storto del 6 dicembre 2012. Dunque, vecchiotto. Però di spread si parla e si parlerà sempre e comunque, a proposito e a sproposito. Penso che sia utile farci una chiacchierata sopra. Naturalmente, se siete d’accordo.

Dunque, trascrivo l’articolo.

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Il feticismo dello spread genera mostri politici. I mostri politici generano squilibri sociali. Gli squilibri sociali rendono più deboli le democrazie e pericolante il cammino europeo, se non compensati con consolidamenti istituzionali. Se la politica non è la mera arte della propaganda, se la posta in gioco non sono solo i voti, di queste cose occorrerebbe ragionare con la dovuta serietà. Gli spread in divaricazione, lo abbiamo sostenuto molte volte e non ci torno, segnalano una debolezza strutturale dell’euro e dell’Unione monetaria. Se si guarda il grafico degli andamenti spagnoli e italiani si vede che non ci sono meriti o colpe nazionali, semmai l’imposizione di una svalutazione interna per reggere ai vincoli esterni. Noi toccammo il dramma nell’agosto del 2011 (governante Berlusconi), quando i mercati ritennero l’Italia più a rischio della Spagna. Per ribaltare quel giudizio occorsero mesi e soldi, non bastando certo il cambio della guardia a Palazzo Chigi.

 

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Oggi si festeggia uno spread in ribasso, con Mario Monti che indica simbolicamente il livello 287 (la metà del picco massimo, precedente al suo avvento), ma si dimentica che lo sfiorammo già nel marzo scorso, salvo poi tornare sopra 500. A fronte della speculazione contro i debiti sovrani, fin qui, l’unica cosa che ha funzionato è stato l’intervento della Banca centrale europea. Se si guarda con occhio libero quel che accade ci si accorge che non è la politica del rigore (necessaria, ma per altri motivi) che fa scendere lo spread, ma l’avere preso atto che non porta da nessuna parte. Ridescritto il feticismo dello spread, il mostro politico consiste nel credere che la salvezza stia proprio in quel che ha fallito. Tanto è vero che quelle politiche sarebbero dovute servire a comprimere i debiti, pur mettendo nel conto spiacevoli effetti recessivi, e, invece, la recessione c’è, ma i debiti crescono. Non funziona. S’è guadagnato tempo, certamente, ma s’è perso denaro. Nel caso italiano s’è perso quello dei contribuenti che sono stati chiamati a pagare di più, salvo ritrovarsi con un debito pubblico più alto in valore assoluto e più pesante sul pil.

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Se la sinistra italiana (ma non solo, vale anche per i francesi) pensa di festeggiare gli effetti della “serietà” fantasticando di rilancio, ha sbagliato indirizzo, perché questo genere di politiche non prevede alcun rilancio. E se pensa di mascherare la mancata ripresa con altro moralismo fiscale, tanto che Bersani oramai neanche nasconde più il desiderio di una (ulteriore) patrimoniale (senza contestuali ed equivalenti abbattimenti Irpef), ciò acuirà la recessione, diminuirà la ricchezza e accrescerà gli squilibri sociali.

 

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Gli italiani che non arrivavano alla quarta settimana, protagonisti della propaganda che ci voleva vittime dell’iniquità, ovviamente figlia del mitico e inesistente “liberismo selvaggio”, erano più ricchi di quelli che dovrebbero festeggiare il rigore e il calo degli spread. Con l’aggravante che si aizza sempre di più la guerra interna, facendo credere che la colpa sia di chi non paga abbastanza, laddove, al contrario, non solo i benestanti onesti già pagano troppo, ma il problema è la spesa fuori controllo e un debito non abbattuto con dismissioni.

 

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E qui si giunge al paradosso: nel caos schiamazzante della politica nostrana è evidente che Mario Monti rappresenta un punto di stabilità, e anche un riferimento per gli interlocutori internazionali, ma la politica del suo governo ha avuto effetti negativi. Per giunta destinati a riverberarsi nel futuro prevedibile. Mettiamola così: il Monti che alza le tasse va male, ma agisce perché non ha alternative immediate; il Monti che constata l’insostenibilità dei costi sanitari (del welfare disfunzionale tutto, in verità) va bene, ma si frena perché non ha tempo e forza.

 

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Se si abbraccia il primo Monti e si cancella il secondo, come farebbe la sinistra bersanian-vendoliana, spezziamo l’Italia e ne distruggiamo il sistema produttivo. Né, del resto, sembrano più promettenti quanti sanno solo dire: Monti-Monti-Monti, con lo stesso acume di chi fa gli scongiuri. O una destra che dice… già, cosa dice? A questo aggiungete che gli sfasciacarrozze sono quotati quale secondo partito. Ciò ci dice che se non c’è ragione di credere che i pericoli esterni siano cessati, ve ne sono molte, e solide, per metterci in guardia dai pericoli interni. Cui ci si abbandona con festosa voluttà.

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Sono ragionamenti ancora validi. E non importa che non ci sia più Berlusconi, né Monti, né Letta, e che ora c’è Renzi, che cambierà, ecc. ecc. Il feticcio dello spread rimane. E, anche se in sottofondo, rimane come un incubo. D’altra parte, è scontato che il rapporto fra l’andamento dei nostri titoli e quelli tedeschi mostrerà sempre un divario, più o meno grande. Mah. Ragioniamoci su perché ci sono varie implicazioni. E l’articolo, a mio parere, consente di parlare di tutti i problemi dell’economia, in Italia e nel mondo. In piena libertà.

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Richard Clayderman  - Au bord de la rivière

 

 

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