LA DOMENICA DEL BOSCO
Scritto da Giuseppe il 22 Marzo 2015 | 28 commenti- commenta anche tu!
L’obbligo del servizio militare di leva, detto anche coscrizione obbligatoria di una classe (volgarmente naja), istituito nello stato unitario italiano con la nascita del Regno d’Italia e confermato con la nascita della Repubblica Italiana, è rimasto operativo per 144 anni, dal 1861 al 2005. L’obbligo è ancora vigente ma sostanzialmente inattivo dal 1° gennaio 2005, come stabilito dalla legge 23 agosto 2004 n° 226. Da tale data il reclutamento avviene esclusivamente tramite l’arruolamento volontario.
Prima di tale data, sebbene il periodo di naja poteva avere il suo lato buono nella educazione formativa dei giovani, molti di questi mal sopportavano il periodo di ferma obbligatoria e cercavano ogni scusa per evitare la naja.
Ce ne dà una palese dimostrazione l’amico Aquilafelice, Vanni per tutti gli amici, con questo raccontino che descrive il suo periodo di ferma obbligatoria.
Buona lettura e Buona Domenica per tutti
Era gennaio del ‘65 quando venni chiamato per svolgere il servizio militare, destinazione Trieste Fanteria Brigata Sassari. Per noi sardi è un grande onore far parte delle Forze Armate Italiane, nella Brigata Sassari, corpo specializzato che ha una storia e si è fatto onore in varie parti del mondo in difesa della pace. Io, giovane 21enne arrivai a Trieste, sorpreso di trovare tanto freddo, abituato com’ero al clima temperato della mia Sardegna.
Lapide ricordo del legame di Trieste con la Brigata Sassari
Subito sottoposto a ritmi serrati e continuativi: La sveglia alle 5,30, lavarsi in fretta per essere pronti ad andare a stare in fila per quasi due ore per bere una sorta di acqua sporca che chiamavano caffè.
Poi ginnastica e subito dopo, a seguire, fase di addestramento. Sono sincero, ho sofferto molto ma orgoglioso di far parte di quel Corpo militare chiamato Brigata Sassari, ero felice ma mi mancava una cosa che mi tormentava tanto. In Sardegna avevo lasciato la ragazza della quale ero innamorato. Il mio tormento era quello di non poterla avere vicino, ne sentivo la mancanza in modo tanto forte da farmi star male. Cercai d’inventarle tutte, feci finta anche di svenire buttandomi per terra con la speranza che questo potesse far decidere i superiori a darmi una licenza: niente da fare, niente licenza, addestramento e basta! Passarono tre mesi e venni destinato a Peschiera del Garda. Ragazzo fortunato Vanny, lo mandarono a fare il corso di autista: al mattino a lezioni teoriche, pomeriggio scuola guida con i camion militari.
Scuola Autieri dell'Esercito Italiano
Autiere con il suo camion
Passarono altri tre mesi e licenza ancora niente, sempre lontano da casa, lontano da mia madre, disabile costretta in carrozzina; lontano dal mio amore mi faceva diventare sempre più triste. Ogni tanto ricevevo una lettera da mia sorella, scriveva poche righe ma dentro c’erano sempre 1000 lire. Non erano i soldi che volevo, desideravo rivedere i miei famigliari e la ragazza che era, allora, il mio grande amore. Ok il tempo passava, un giorno feci richiesta di una licenza che venne concessa. Ero contento di partire ma forse, proprio per la contentezza in quei giorni non avevo studiato abbastanza, venni interrogato e punito con la revoca della licenza. Non si poteva pretendere tanto da un ragazzo che aveva conseguito solo la terza elementare. Forse ero uno dei pochi fortunati a frequentare la scuola di motorizzazione, allievo autiere, tutto ok. Intanto arriva un altro trasferimento, questa volta destinazione Vicenza, zaino in spalla, prendo il treno ed eccomi a Vicenza. Mi presento in questa Caserma enorme, mi squadrano e mi dicono: “Lei non doveva venire qui, la sua destinazione è un’altra Caserma. Con un camioncino dell’Esercito mi accompagnano nella sede definitiva.
Visita di leva: rilevamento misure altezza e circonferenza toracica
All’arrivo rimasi sbalordito e pensai che quella non era una caserma: erano quasi tutti civili e ufficiali, non potevo capire cosa fosse. Per me andava tutto bene, mi sistemo nel posto assegnatomi, letto zaino e accessori, tutto ok. Dopo un paio d’ore vengo chiamato a rapporto e mi spiegano quale era il mio compito: autista in accompagnamento col maresciallo per il rifornimento dei generi alimentari. Trascorre un altro mese e mi concedono una licenza breve per andare al mio paese a votare. Ero felice di riabbracciare mia madre e rivedere la ragazza amata ma come tutte le cose belle durano poco. Con la tristezza nell’animo e a malincuore partii per rientrare a Vicenza. Nel frattempo si era congedato l’autista del Generale, venni chiamato nuovamente a rapporto: questa volta non era uno qualsiasi di grado intermedio ma direttamente dal Generale. Tremavo come una foglia, lo salutai con uno scatto d’attenti e lui mi disse “Comodo, comodo” Mi propose di essere il suo autista e accettai, era un comando, non si poteva mica rifiutare: obbedire sempre! Per chi non lo sapesse la macchina del Generale è contrassegnata in avanti con una bandiera. Ero orgoglioso di me stesso, essere al servizio di un così alto Ufficiale non è cosa da tutti, ero il suo autista personale. Un giorno mentre lo accompagnavo a casa il Generale mi disse: “Senti, Putzolu, tu ora sei il mio autista, da domani metti il cappello d’alpino”. Non sapevo che dire, poi con voce tremante dissi, “Ma io sono della Brigata Sassari”. Lui rispose secco: “Io sono un Alpino, il mio autista deve mettere il capello d’alpino” Immaginate Vanny, piccolino e mingherlino come lo ero, col cappello d’alpino, non mi ci vedevo neanche, e sinceramente mi mancavano le mostrine bianche rosse della mia Brigata Sassari, alla quale continuavo a sentire la mia appartenenza, ma ero ugualmente felice: a Vicenza stavo bene, prendevo parecchi soldini, per il lavoro che svolgevo non mi mancava niente, ad essere sincero neanche le ragazze. Avevo il permesso di uscire e rientrare a qualsiasi ora, frequentavo allora una ragazza che avevo conosciuto, lei viveva da sola, a casa sua avevo i vestiti da borghese e quando uscivo con lei lasciavo la divisa a casa e vestivo da civile. Passarono i mesi e stavano per arrivare le festività natalizie, ormai era un anno che ero militare e avevo maturato il diritto alla licenza ordinaria, ben 12 giorni più il viaggio. Mi concedono la licenza, parto felicissimo ed è stato bello, purtroppo, però, come tutte le cose, arriva la fine e devo rientrare in Reparto.
Ero al mio paese, avevo riassaporato il piacere di stare a casa mia e di avere l’amato bene della mia ragazza vicino: non volevo più partire. Vanny ne inventa una delle sue: andai dal medico condotto in divisa, le dissi mi fa male il fianco destro lui mi guarda e mi dice: “Ma cosa ci fai qui da me, tu sei militare, devi andare al Distretto di Oristano”, che è la città capoluogo di Provincia della mia zona.
Sulla base di quanto avevo dichiarato sui miei dolori al fianco, il medico mi disse che poteva essere un’appendicite. In realtà io non avevo dolori, era solo che non volevo più partire. Andai al Distretto militare, incontro un Tenente medico che mi dice “dove le fa male?” Gli risposi “Qui” indicando con la mano ancora il mio fianco destro.
“Ok” mi disse, “appendice, domani vada a Cagliari, Ospedale Militare. Arrivai al capoluogo sardo il giorno successivo. Senza farmi alcuna visita né alcun controllo, mi ricoverano, e il giorno dopo l’Epifania mi operano di appendicite. Venni poi dimesso ed ero felicissimo perché avevo ottenuto un supplemento di licenza: altri 15 giorni da trascorrere a casa.
Non tutto però andò per il verso giusto: dopo un paio di giorni mi sentii veramente male. Il mio medico mi curava per influenza ma la mia era cosa ben più grave, mi era intervenuta l’anemia per scompenso tra globuli rossi e globuli bianchi. Stavo sempre più male e rischiavo di morire quando mio padre con un’auto privata presa a nolo, mi riporto a Cagliari perché sembrava che per me non c’era ormai più niente da fare. Il medico dell’Ospedale parla con mio padre e gli disse di tornare in paese per recuperare tutti i miei amici che volessero donare il sangue perché io avevo immediato bisogno di trasfusione sanguigna.
Ospedale Militare e
Chiesa San Michele a Cagliari
Ne arrivarono una ventina tra amici e parenti, tutti generosissimi, e si assoggettarono alla donazione del loro sangue. Rimasi ancora per 40 giorni all’Ospedale Militare, poi con la convalescenza che mi era stata assegnata arrivai al termine del periodo di leva obbligatoria e, in pratica, ho terminato il servizio militare senza dover rientrare a Vicenza. Questa e un po’ la mia storia di buon militare della Repubblica Italiana, un periodo pieno di difficoltà e tribolazioni ma che è stato comunque bellissimo per me e ancora lo ricordo. Grazie.



