Archive for dicembre 26th, 2020

SGOMENTO di Lorenzo.rm

   

SGOMENTO

 

Sgomento.

Dolore per un amico malato

che rischia la vita e dispera.

E’ un bel dire che tutto andrà bene.

Mentre parli sai di mentire.

.

La verità è che, come lui,

attendi un segnale, una voce dal cielo.

Ma il segnale, la voce, arriverà?

O è un semplice augurio del cuore?

Ho parlato a me stesso e comprendo

che l’impotenza è davvero sovrana.

 

.

Alla fine tu dici: lottiamo!

Senza lotta decisa, totale,

certo giunge un verdetto fatale.

Ma se neanche una lotta convinta,

fiducia entusiasta,

amor della vita riesce

a cambiare un destino?

Che fare? Acceleriamo la fine?

.

Perdiamo la voglia?

Usciamo dal mondo?

Che cambia?

Una vita disperata è di meno

di una vita ammalata.

Sai che ti dico, amico mio?

.

Chiacchieriamo,

discutiamo sul destino

riservato a noi mortali.

Polvere siamo, polvere ritorneremo.

.

E nella casistica generale

un po’ tutti stiamo nella precarietà.

Se si pensa ad un incidente,

esso capita immantinente,

a quale che sia l’età,

e non resta che un pianto dirotto.

.

 

Meglio è allora

una fine preannunciata,

peraltro solo possibile,

ancora non giunta,

per contrastare la quale

occorre lottare.

Il problema è che la lotta

presuppone un obiettivo.

.

Perché lottare?

Per mantenere le quattro ossa?

La propria carcassa?

In verità noi siamo quel che facciamo.

.

 

Siamo le relazioni

che ci siamo costruiti in vita

e che in morte

siamo costretti a lasciare.

La lotta dà qualche possibilità

se qualcosa o qualcuno,

perdendoci, piangerà.

   

.Se lasciamo equilibri

difficili senza di noi.

E in questa vicenda

i semplici affetti non bastano.

I padri, le madri,

comunque morranno.

E i loro figli non hanno diritti in più.

Non succede così dappertutto?

 

.

Nella corsa della vita

c’è un principio e una fine,

frutto spesso di fatalità. Forse,

spinti da un dolore rinnovato,

 

è bene riconoscerlo

senza resistenza,

o rimpianto, o dolore.

     

.

Ci si domanda: Perché Signore a me?

Una risposta più giusta mai non ci fu

se non quella classica:

.

E perché non a te?

Rimane, peraltro,

in primo piano

la sorte dell’interessato,

della vittima designata.

.

E allora perché non riconoscere,

che vittime tutti lo siamo?

E che i quesiti di fondo sono legati

al ruolo che abbiamo assolto,

alle azioni che abbiamo compiuto,

 agli affetti che abbiamo suscitato,

agli investimenti che abbiamo effettuato,

in particolar modo a favore del prossimo,

che non comprende soltanto

il nostro particolare,

 

ma che si amplia a tutti

quelli che abbiamo aiutato,

sostenuto, ai quali abbiamo voluto bene.

 

.

 

Questo è il film

che scorrerà nel nostro pensiero.

Allora non ci sarà tempo per disperazioni,

per il dispiacere dell’abbandono,

per i pianti che non riscaldano il cuore.

 

Se siamo nel vuoto

dell’imponderabile e del fatale,

se tutto può succedere ora e qui,

prepariamoci a lasciare la terra

coscienti e non disperanti.

La nostra avventura in questa valle è così.

.

Prendiamone atto fratelli. Tanto si sa.

Bene che vada solo il ricordo rimarrà.

Il ricordo e, speriamo,

il rimpianto per quanto di buono

siamo stati capaci di fare.

.

C’è poi la fede.

Ma essa non dà sicurezza a chi non ce l’ha.

Soltanto chi crede non la ritiene fatalità.

Ma si può dire, è giusto dire, alla gente:

Credi, amico, credi che ti converrà?

Si possono fare dei patti

con la dignità di ognuno?

   

Di qualcuno,

per giunta, morente?

Perciò, amico mio malato,

nulla d’altro ti dico.

.

Combattiamo insieme.

Tocchiamoci fisicamente.

Stiamo vicini.

Diamoci la mano, oggi e domani.

Fino a quando sarà.

Facciamo un comune cammino.

Per quanto,

mai lo sapremo se non vivendolo,

occupandoci di cose concrete.

.

Lottando, anche,

ma senza disperazione.

Nel nostro piccolo, coraggio!

Vivremo un frammento,

un margine di felicità.

   

 

 

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