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MAGGIO, IL MESE DELLE ROSE

                       

Maggio è il mese delle rose e sebbene quest’anno le fioriture sono un po’ in ritardo, la stagione dell’amore non passa mai per cui, in attesa che i boccioli del mio giardino si aprano per mostrare i loro splendidi colori e diffondano la loro fragranza, vengo a proporvi la lettura di questo modesto scritto che,

dulcis in fundo,

si conclude con una deliziosa poesia dell’indimenticato nostro Amico Ottorino Mastino che ci racconta una sua emozione giovanile.

 Rose del mio giardino (anni precedenti)

(

Maggio è pure il mese centrale della Primavera che è la stagione del rifiorire della vita, della flora, della fauna e, ammettiamolo, anche per noi umili esseri umani la Primavera è la stagione del rifiorire dell’amore.

Quanti amori sono nati ai primi tepori della Primavera, molti sono sbocciati e fioriti dando seguito alla continuità della vita, altri non si sono conclusi ma sono rimasti nei rimpianti della mente e ancora possono destare emozioni al solo ricordo.

 

 

Mi ritorna in mente l’inizio del primo canto dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto perché in due sole righe annuncia tutto un programma, anzi tutto un poema:

 

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,

le cortesie, l’audaci imprese io canto.

Fate come l’Ariosto ma attenzione, i ricordi possono provocare aritmie cardiache anche in età adulta per cui, ai deboli di cuore, si consiglia di non eccedere con ricordi troppo audaci.

 

 

L’amico Ottorino, in questi versi, ci riporta una delle sue prime emozioni del cuore.

Leggiamoli insieme e commentiamoli magari facendo riemergere il ricordo di una analoga emozione vissuta nelle nostre prime schermaglie amorose giovanili.

 

 

Buona giornata di Primavera amici, riviviamo le nostre emozioni in queste belle pagine del nostro Bosco incantato.

         

Iniziando il ballo sardo,

eravamo più di duecento,

giovani e maturi,

al gran veglione,

ignorando che premi

si davano ai vincitori.

 

Le donne venivano (mascherate) (1)

e a gara si sceglievano

il cavaliere,

come stabilito dal locale uso.

 

Ella venne al mio fianco,

allacciando il suo braccio

al mio con forza

e dolce armonia.

 

Io, ragazzo,

mi sentii irradiare

di felicità struggente

e sconvolto,

anche per il segreto chiaro

del suo… soave sguardo.

 

Per la rigida usanza,

la invitai, dopo il ballo sardo,

al prossimo tango.

Era snella leggera,

flessuosa e musicale.

Ballammo un valzer viennese

a tre tempi.

   

I violini strimpellavano

a gara con le chitarre,

armonia di suoni

e per noi era

uno splendore di sole.

Riprendemmo a danzare

con un tango argentino

dal ritmo lento.

Sentivo battere il suo cuore

sotto il broccato;

era un vulcano per me

ella fu la linfa al mio spirito.

 

Nella travolgente danza

Eravamo un unico corpo

E la musica, lenta e dolce,

fu un refrigerio,

che ci trascinava

gonfiando il nostro cuore,

ed io mi sentivo

tutto immerso in lei.

Con nostra contrarietà

terminò il ballo.

Solo a noi

il direttore di sala

fece cenno di continuare il giro,

fermati da un frenetico

tonante applauso.

 

Noi sconvolti e mortificati

ci allontanammo

con le mani congiunte

come due bimbi.

 

Lo stesso direttore

ci offrì una coppa

di cristallo decorato in oro,

che io, consegnai a lei.

   

Oggi la neve ha argentato

i pochi capelli

e le rose della mia gioventù

sono rinsecchite.

Con i ricordi

che mi fanno vivere,

rifiorisco

e mi libero di me stesso.

 

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  (1) Era usanza che le ragazze al ballo coprissero    il viso lasciando scoperti solo gli occhi.  

   
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