Un gatto in cella
Scritto da giovanna3rm il 21 Giugno 2012 | 26 commenti- commenta anche tu!
Se fosse permesso anche nelle nostre carceri tenere un gatto o un cagnolino sicuramente il recupero dei detenuti sarebbe più agevole e, per coloro che lasciano il carcere, un importante aiuto per il loro reinserimento nella vita civile. La cella di Richard assomiglia proprio a quella delle nostre carceri! Questa notizia è apparsa sul Quotidiano "La Repubblica".
“Il carcere di Yacolt, nei dintorni di Washington, è contro l'abbandono di animali domestici tanto che la causa è diventata lo spunto per dare il via al ''The Cuddly Cats'', un programma di recupero per i detenuti che permette agli ospiti del penitenziario di convivere con un gatto in una cella per due. Realizzato in collaborazione con un centro che si occupa di animali abbandonati, il Cuddly Cats pone al centro dei suoi obiettivi l'affetto, il lavoro di squadra e la possibilità di salvare un animale.
All'interno di questo programma, colpisce la storia di Richard Amaro e del gatto Clementine: i due vanno d'accordo e, secondo i responsabili del carcere - ci sono stati notevoli miglioramenti nei comportamenti del detenuto, ma anche del felino diventanto più dolce. In questi scatti la testimonianza del rapporto nato tra il prigioniero Richard Amaro e il gatto Clementine.






Bell’articolo, Giovanna. Con una storia molto umana che conferma il grande valore che il rapporto uomo-animale può assumere per un efficace reinserimento di chi ha sbagliato nei ranghi della società.
Giovanna, so che la cosa costa fatica. Ma se hai tempo e voglia sarebbe il caso di approfondire con riferimento all’Italia. Il rapporto uomo-animale, specie in determinate condizioni ( carcere-centri di animali abbandonati) è troppo importante per non costituire soltanto una notizia delle tante.
Condivido l’idea di Lorenzo per quanto riferito all’ampliamento dell’argomento sulla importanza della convivenza uomo-animale. Ma per l’ammissione degli animali nelle carceri, idea nobile per carità, come la mettiano con i problemi del sovraffollamento degli istituti carcerari in Italia?. Che facciamo: liberiamo i detenuti con condoni vari e mettiamo in carcere gli animali innocenti? Troppe problematiche da risolvere: sarebbe tutto da rifare, come diceva Bartali. Ti ringrazio, Giovanna, per la bella notizia, in qualche modo provocatoria.
Certo, Giuseppe, che il problema del sovraffollamento delle carceri esiste. E bisognerebbe eliminarlo o contenerlo per dar vita all’esperimento di convivenza uomo-animale. Ma come siamo ridotti male in Italia. Non vorrei che ci fossimo, si fossero rassegnati, incartati. Così è se vi pare o se ci pare. No, dobbiamo dirlo forte e chiaro No.
Argomento interessante ma con diverse problematiche
(Terapeutiche- Animaliste-Sociali )
In moltissimi casi si usa un animale a fini terapeutici, specialmente con chi ha problemi motori o altri ; nel caso specifico può stimolare la psiche e far evidenziare quella parte di buono che è in ogni essere umano.
Per il sovraffollamento delle carceri il problema è sociologico e non basta dire NO.
Su animalismo si dovrebbe potrebbe sviluppare un bel dibattito non solo qui nel bosco di eldy ma in generale ma approfondendo si andrebbe fuori tema.
Per me dire animalista non basta.
Argomento interessante ma con diverse problematiche:
( Terapeutiche-Animaliste-Sociali )
In moltissimi casi si usa un animale a fini terapeutici, spececialmente con chi ha problemi motori o psicologici; nel caso specifico può stimolare la psiche e far evidenziare quella parte di buono che è insito in ogni essere umano.
Il tema sovraffolloamento delle carceri il problema non è solo psicologico ma molto materiale e organizzativo, semmai sociologico.
Su ANIMALISMO si dovrebbe sviluppare un grosso e importante dibattito, non solo nel bosco ci eldy ma in generale, ma approfondendo si andrebbe fuori tema; dirsi animalista non basta.
Hai ragione, Alessandro. Il discorso è complesso. L’episodio è molto significativo e parla al cuore oltre che alla mente. Chissà se, nel tempo, riusciamo a fare qualche altro passo in avanti. Per ora diciamo: Ciao Richard e Clementine.
Grazie, ragazzi, dei vostri interventi: fa molto piacere
trovare degli amici che amano sinceramente gli animali e che li rispettino, soprattutto.
La storia di Richard e Clementine è molto bella, fa riflettere sugli aspetti affettivi che i carcerati anno e che sentono la necessità di sentirsi amati anche da un animale. Il rapporto è positivo, può servire come terapia di confronto per ottenere una serenità d’animo ed avere una responsabilità verso altri soggetti. Oltre a provvedere alla sistemazione e alla cura di quei poveri esseri abbandonati, il detenuto acquisisce quella energia e la voglia di ritornare nel mondo civile.
Sarebbe una bella cosa sistemare qualche abbandono in case di detenzione ma la vedo una cosa molto difficile quì da noi, poi non risolverebbe certo il problema abbadoni che creano una moltitudine di problemi, igenicisanitari, purtroppo non c’è la coscenza e la vera cultura animalista, molti si fregiano animalisti ( a parole ) ma poi nei fatti i prblemi sono molto duri e molto dispendiosi economicamente oltre che d’impegno costante e coerente,solo poche persone abbracciano la vera fede animalista le cosi dette gattare o canari ma sono una goccia in un oceano di problemi ( dove poi ci s’innesta la speculazione ):
problemi come la sterilizzazione, la disinfestazione, la pulizia, l’alimentazione, l’allogiamento decente e non si può pretendere che dei singoli si accollino spese e fatiche per gli abbandoni.Prendo solo un esempio, la lesmania o lesmaniosi, dovuta ad una semplice puntura di un pappadacio( il flebtomo ) che fa crollare le difese immunitari del cane in maniera inreversibile espnendolo a tutte le malattie possibili anche dovuta da altri parassiti, medicine costose iniettate tutti i giorno con terapie cicliche, ma senza speranza solo sopravvivenza; ebbene a monte c’è la NON DISINFESTAZIONE, non si può pretendere che i cittadini amanti del cane se ne vadino i giro co la pompetta per collo a disinfestare l’ aria.
Tralascio volutamente altre problematiche per non appesantire il problema tipo la vivisezione o gli allevamenti intesivi a fine di mercato.
Questo dovrebbe insieme ad altre prblematiche, essere una crescita sociale animalista, interessarsi di certi problemi non portare a spasso il cagnolino col cappottino d’inverno.
scusate… forse troppo duro ma ho i miei motivi e non siete certo voi un motivo…….è un mio sfogo.
saluti alessandro
Ciao, io penso che il problema del sistema carcerario , va discusso ormai vecchio ai bisogni umani , i tempi cambiano come la società adagiandosi si pilastri non strutturati per una aggregazione multi colore con mentalità diverse sia culturalmente e di religione ecc. Senza nessun pregiudizio nei confronti degli animali, le persone che hanno sbagliato non accettano la convivenza sia sotto il profilo sociologico e psicologico, li rifiutano tranne i soggetti che ormai sono entrati in una fase che viene chiamato (disagio ambientale) ,prevale solo il silenzio come relazione con gli esseri umani ,dedicandosi di più agli animali dove si comunica con i gesti ecc. In genere gli esseri umani hanno bisogno di spazi, dove ognuno esprime le sue potenzialità rendendolo attivo a produrre ricchezze per se e per la società. Reprimere e limitare questi spazi crea conflitti che si trasformano a sua volta in violenza con segnali e messaggi negativi dove non prevale la ragione bensì’ la rabbia ,la ribellione di sentirsi diverso degli altri cioè un rifiuto della società. Dove svolgo il servizio di operatore sociale come volontario , abbiamo avuto tanti casi di depressione avanzata ,che in alcuni è diventata sintomo di schizofrenia e di psicotici, dovuto all’isolamento carcerario duro ,privo di relazione umano, e di rapporti a tutti i livelli. A livello di programmazione di comporre una diagnosi per la cura , oltre ai farmici sintomatici ,si è individuato un percorso individuale con questi soggetti mirato ad un recupero di se stessi, con attività varie ,come la musica costruire uno strumento con materiali vari , la pittura , l’arte in generale con vari spunti rivolti alla lettura, la lavorazione dei dolci , cucinare per poi condividere con gli altri, il teatro ecc. Questo progetto ha funzionato dando a loro gli spazi ormai dimenticati da tempo. Io amo gli animali,e sono contro alle brutale sofferenze , però non condivido che essi siano usati per sostituire una relazione i condizioni precari. L’animale ha suoi spazi liberi ben definiti,l’uomo pure che non si possono sostituire si può solo convivere separatamente con ruoli diversi. Chiudo , essendo la nostra una società molto complessa, bisogna programmare progetti mirati ad una convivenza sociale,dove tutti hanno il diritto di vivere con le regole , liberi di esprimere le idee senza intaccare quelli degli altri, con un confronto dialettico,in modo tale che prima di arrivare ad un gesto disumano come quello di uccidere ,rubare ecc, I carceri devono servire per educare coloro che non rispettano le regole,con progetti mirati ad un coinvolgimento dell’individuo a rivedere gli errori con strumenti adeguati per dare una opportunità di inserimento in tutti i sensi nella società. Buona giornata
Bello il tuo racconto Giovanna ,lo leggo sempre con molto piacere.Certo sarebbe auspicabile potesse venire attuato nelle nostre….ma e’ possibile solo pensare una cosa simile allo stato attuale delle nostre carceri
ECCO UN’IDEA:
Le discussioni sono utili per far nascere idee concrete, proficue e finalizzate a risolvere problematiche che diversamente resterebbero nel limbo. Il Bosco in questo campo è principe nel far nascere idee valide e proporle agli organi o enti di competenza.
L’IDEA É QUESTA:
Affidare la cura di animali randagi (cani in particolare) ai carcerati ma non per tenerli con sè nelle celle (cosa oggi impossibile) ma in spazi adatti per la libera convivenza degli animali che potrebbero essere accuditi dai carcerati che ne accettano l’adozione. In questo caso si creerebbe un filing tra l’uomo costretto in detenzione e l’animale che, nel caso, sarebbe accettato e ben accolto. Non tutti ma molti istituti carcerari potrebbero avere, ed hanno, gli spazi per creare queste strutture.
In poche parole, molte competenze che oggi sono affidate ai canili comunali potrebbero essere trasferite in ‘dependance’ ad alcuni istituti di pena in grado di assolvere il compito. Il detenuto che adotta e prende in cura il ‘suo’ animale si sentirebbe utile ad evitare che lo stesso sia destinato ad una misera fine. Potrebbe essere solo un inizio ma che, nel contempo, potrebbe avere infiniti sviluppi nel campo sociale, psicologico ed economico. Grazie.
Giuseppe, vedi quante idee possono nascere dai confronti e dai dibattiti? La tua proposta mi sembra ottima e risolverebbe sicuramente diverse situazioni. Forse se ne potrebbe parlare a livello comunale o regionale con i responsabili del settore animali. Chissà che non venga accolta, almeno a livello sperimentale.
Noi ci proviamo. Può darsi che l’idea venga accolta da qualche politico che la fa sua e la porta avanti ma va bene anche così. A livello locale ci proverò personalmente.
La proposta di Pino può essere anche fattibile, non considerando che anche l’animale resterà per sempre un detenuto, prenderà le stesse abitudini e seguirà i comportamenti del padrone quindi creando una restrizione naturale all’animale stesso.
Amici miei, non dimentichiamo che la storia di Richard e Clementine è appunto una storia, un episodio , tuttavia molto significativo, e con possibilità di sviluppo. Non sarebbe giusto trarne indicazioni per una vera e propria politica intesa a legare uomini ed animali in modo continuativo, Penso che, a parte gli spazi, che andrebbero ovviamente controllati, c’è il problema della volontà e libertà degli interessati. Posto che esistano le condizioni, chi dei detenuti vuole avere un animale da accudire? Posta così la domanda, e acquisita la risposta positiva, non dovrebbero esserci problemi. Cicco ci dice giustamente che il problema dei detenuti è fondamentalmente quello di un recupero della loro personalità, che purtroppo tende alla depressione e all’isolamento. In questo caso è chiaro che ben poco può fare un cane o un gatto. Tuttavia, come dice un vecchio adagio, tutto fa brodo. Una parola ad Alessandro. Certo, le persone impegnate per la cura degli animali, quelle che effettivamente lo fanno a proprie spese e senza aiuto (posso dire che sono uno di questi?) andrebbero supportati di più e meglio dalle cosiddette autorità. Ma tant’è. Questo passa il convento. Nelle pieghe si trovano tante persone ben disposte, sia nelle strutture sanitarie (ASL veterinarie e veterinari privati), sia nel settore dei servizi per gli animali. Qui la necessità fa la legge: non si deve aver paura o ritegno di chiedere, chiedere, chiedere. Qualcuno la chiamerà Provvidenza (io ad esempio), qualcuno la chiamerà fortuna, qualcuno come gli pare, ma problemi ne risolviamo tanti, a partire da quello essenziale della sterilizzazione. Volevo anche informarvi di due cose. La prima riguarda la breve esperienza del cane di quartiere, arenatasi perché non si trovò qualcuno che si assumesse l’onere dell’assicurazione. La seconda, l’esperienza di una struttura per anziani, che avevano avuto in affidamento una piccola colonia di gatti, curati e sterilizzati, con grande soddisfazione, degli anziani e dei gatti. A Roma in qualche struttura ospedaliera o universitaria ci sono colonia di felini: lunga vita a chi se ne occupa. Un abbraccio a Giuseppe, che ha posto con “i piedi per terra” un vero e proprio progetto per gli istituti di pena.
Angelo e Lorenzo, grazie per la vostra approvazione: la mia proposta contempla l’eventuale progetto per quegli istituti di pena con spazi ‘aperti’ che già esistono e l’orientamento a poter accudire anche gli animali non avrebbe grandi costi e neppure troppe costrizioni per gli stessi animali. Potrebbe essere in definitiva l’adozione di un rangagio da parte di una persona che se ne prende cura in ambito carcerario ma senza eccessive costrizioni da parte dell’animale. Sarebbe tutto da discutere ma nulla è impossibile, se c’è la volonta di farlo.
Approfitto per abbracciarti, Pino.
UN’IDEA… UN PROGETTO da cui prendere esempio :
A ridosso delle Olimpiadi di Londra, dal 20 al 22 luglio prossimo, si svolgerà a San Patrignano, Rimini, la 16° edizione del “Challenge Vincenzo Muccioli”, l’ormai tradizionale Concorso Ippico Internazionale di salto ostacoli (Csi “cinque stelle”, secondo la classificazione della Federazione equestre internazionale) organizzato negli impianti della nota Comunità di recupero.
…La naturale prosecuzione di un percorso che ebbe inizio con la nascita stessa della comunità, quando Vincenzo Muccioli intuì che i cavalli potevano avere una funzione terapeutica nel recupero dei tossicodipendenti. Da lì alla decisione di aprire un allevamento vero e proprio il passo fu decisamente breve e la scuderia si specializzò in cavalli da salto ostacoli: un modo per i ragazzi di imparare una professione e per la comunità di farsi conoscere all’esterno. Arrivarono infatti le vittorie del San Patrignano Jumping Team ai Giochi Olimpici, ai Campionati del Mondo e nei più prestigiosi concorsi a livello mondiale, e allo stesso tempo dal 1997 si iniziarono a realizzare i concorsi ippici all’interno della comunità. Nel 2005 poi il Campionato europeo di salto ostacoli a sancire la competenza della scuderia di San Patrignano e la capacità della comunità di organizzare un evento tanto prestigioso.
Una cosa molto bella a San Patrignano è che si salta ancora sull’erba. Altro aspetto assai apprezzabile sono gli ostacoli che si hanno a disposizione: in ognuno di loro si vede un esempio di quello che è chiamato “Italian design”.
Affermazione significativa, questa, considerato che oltre al campo di gara anche gli ostacoli sono disegnati e realizzati dal laboratorio di falegnameria della Comunità, ad opera degli stessi ragazzi che svolgono il percorso educativo.
Certo Giuseppe…perchè no?
Si potrebbe destinare un’area da adibire non solo alla costruzione di box per accogliere dei cani, ma anche ad uno spazio verde con un percorso attrezzato per l’ agility.
La progettazione e la messa in opera potrebbe essere fatta dagli stessi detenuti, magari con l’ausilio di proprietari di allevamenti o anche di strutture tipo pensione – per la parte pratica e logistica di distribuzione dei box – e di istruttori per disegnare e attrezzare il percorso.
Fatto questo che altro serve? Un bravo istruttore che insegni, prima di tutto, come educare un cane e poi come addestralo per le gare di agility. E infine, un bravo veterinario. Ovviamente, persone che vogliano mettere a disposizione il loro tempo e le loro competenze a titolo gratuito.
Si potrebbero cercare degli sponsor e organizzare così, anche gare e tornei dove ogni singolo detenuto sarà il conduttore del proprio cane.
La manutenzione degli spazi e la cura quotidiana dei cani, saranno compito dei detenuti.
E non è detto che si possano realizzare spazi anche per i gatti…
Ma dentro a una cella… NO !
UN ESEMPIO NELL’ESEMPIO …
Il canile di San Patrignano
Il canile di San Patrignano ospita 70 soggetti di cui 25 di razza labrador, in addestramento per la terapia assistita e 45 meticci, provenienti dai canili della provincia e da associazioni animaliste e destinati all’adozione.
Sono animali senza padrone, abbandonati, ospitati nel canile della Comunità. 18 di essi provengono dal canile di Fagnano (Novafeltria) danneggiato dalle recenti nevicate invernali, 4 sono levrieri “galgo”portati a San Patrignano dall’associazione SOS levrieri che li strappa a sicura soppressione dopo aver gareggiato nelle corse riservate a questi animali in Spagna.
In tema di pet therapy la Comunità di San Patrignano ha sviluppato una propria professionalità attivando ormai da quattro anni un settore di formazione professionale per addestratori di cani sociali a sostegno dell’handicap. I risultati di questi investimenti in professionalità sono stati lusinghieri e attualmente il gruppo cinofilo San Patrignano interviene in programmi di terapia assistita in collaborazione con A.N.F.F.A.S. (Associazione Nazionale Famiglie Fanciulli Adulti Subnormali) sede di Trento, e altre realtà di varie province italiane. All’interno della Comunità sono allevati e addestrati cani e contemporaneamente si intrattengono continui scambi d’informazioni e aggiornamento con gli esperti del settore, affinché la qualità del lavoro svolto sia sempre all’avanguardia.
… In Italia il 30% circa degli oltre 68 mila detenuti sono consumatori di sostanze, e di questi 18 mila sono affetti da epatite C e il 25% sono hiv positivi. Ma pochi di loro sanno di essere malati e fra coloro che ne sono consapevoli pochissimi sono in grado di accedere alle cure. Con pericoli anche per la collettività.
Curare però non basta, bisogna anche pensare alla riabilitazione dei detenuti consumatori di sostanze. “I programmi alternativi sono uno strumento efficace per il reinserimento sociale – ha detto Sonia Calzavara, psicopedagogista dell’Unità Funzionale del Carcere di Padova – ma devono essere potenziati. Numerose evidenze dimostrano che chi ha usufruito di misure alternative ha una minore recidiva sia nell’uso di sostanze che nel commettere un nuovo crimine”.
Finito eh!…..
Ma brava Carlotta: da un briciolo di IDEA hai costruito un PROGETTO completo persino nei dettagli e con esempi di paragone validissimi. Questo ci stimola a non fermarci alle sole parole ma ci spinge a portare avanti l’idea che, partendo dal nostro piccolo, grande Bosco, può veramente arrivare lontano. E noi insistiamo, ci proviamo.
Ma che bravi che siete. Carlotta sei stupenda.
Ad Arezzo una piccola di 6 anni ha convinto la direzione della Asl 8 ad emettere un protocollo per autorizzare la presnza nella camera dell’Ospedale del suo amato cagnolino. I recenti studi di Pet Therapy hanno dimostrato che la presenza di animali, in determinate patologie, è di grande aiuto: oltre a fornire compagnia, alzano il tono dell’umore e sono uno stimolo all’esercizio fisico. Nel caso riportato dall’articolo sicuramente la presenza di un animale renderebbe il periodo di detenzione più leggero e sopportabile, il detenuto si sentirebbe più accettato e amato, e risveglierebbe in lui il senso di responsabilità. In teoria è tutto possibile ma metterlo in pratica è molto difficile: le carceri sono super affollate, le celle sono di piccole dimensioni al limite del vivibile, la presenza di un animale renderebbe il tutto ancora più pesante.
Bel dibattito davvero, su un tema scottante che contiene innumerevoli sfaccettature. E’ assodato che la pet therapy sia molto efficace per talune patologie, per i detenuti avete giustamente sottolineato tutte le difficoltà che mi sento di avallare. Vi è anche da riflettere sul fatto che non tutti i detenuti hanno potenzialità adatte. Sono frequenti le disgregazioni di personalità dovute a prolunata tossicodipendenza con forme di aggressività/sadismo ecc. Gli animali hanno il diritto di essere rispettati ed amati, mantenendo intatti i loro spazi di libertà. Vedrei anche l’accudimento di un animale in quelle fasi del percorso di riabilitazione in cui si sia conquistato un regime di semi libertà che prevede attività lavorativa o di volontariato presso strutture esterne. Il raziocinio mi porterebbe a dire quanto ho esposto. L’osservazione delle tenerissime foto, però, mi porta ad una riflessione più…emotiva: gli abbracci nel sonno di Richard a Clementine mettono in evidenza l’aspetto prettamente umano: il bisogno di contatto, di dialogo significativo fatto di coccole da parte di una persona che il mondo con le sue relazioni se lo è lasciato alle spalle, con tutto il carico di sofferenza che ne consegue. Allora mi viene da pensare che un cammino verso la riabilitazione può essere fatto di tante piccole esperienze, che sono tutte positive nella misura in cui rimettono in gioco le emozioni, la capacità di cogliere i bisogni di un altro essere vivente, che motivano alla dedizione ed alla responsabilità nel prendersene cura.Una delle possibili relazioni quotidiane utili, il contatto con un animale, ma supportata da investimenti d’altro tipo che concorrano ad accrescere la fiducia in sè e a riceverla dagli altri, nel cammino verso la rinconquista della libertà. Certo, il concetto di pena andrebbe ripensato e riformato, non nel senso di un “fuori tutti che ci costate troppo” , ma di una vera progettualità molto articolata e costosa…, finalizzata ad un recupero possibilmente duraturo, definitivo. Lo so.. lo so… forse è ancora fantascienza ma lasciatemi sognare un pò!
Giovanna, grazie per gli spunti di riflessione che hai offerto. Un abbraccio!