“L’aggressività femminile”

discutiamonee

“L’aggressività femminile”

considerazioni al margine del libro della psicoanalista

Marina Valcarenghi (editore Bruno Mondadori – Milano)

copj13Di questo stupendo libro riporto la presentazione di copertina e le conclusioni.

Sembra essere successo qualcosa in tempi molto lontani che ha indotto la compressione dell’aggressività non di una ma di tutte le donne, qualcosa che potrebbe essere una mutazione istintiva legata a uno stato di necessità, forse a esigenze conservative della specie. I sintomi di questa artificiale repressione si esprimono in comportamenti deficitari o eccessivi come: autolesionismo, abitudine al lamento, senso di colpa, dipendenza, insicurezza o ansia di controllo, prepotenza e atteggiamenti insofferenti e collerici. L’istinto aggressivo femminile è ammalato perché non riesce a esprimere una conveniente autodifesa dello spazio fisico, psichico e sociale e non risulta quindi capace di affermare e proteggere con efficacia l’identità soggettiva. Affrontando l’antico stato di necessità, riconoscendo il dolore per una lontana e comune ferita all’istinto e collegando quella ferita ai sintomi di oggi, diventa progressivamente possibile riscoprire l’energia aggressiva e con essa il desiderio e la capacità di affermare quella forma del pensiero e del sentimento che costituisce il modo femminile di stare nel mondo, un modo ancora in larga misura sommerso, ma ormai necessario non solo all’equilibrio della personalità femminile, ma forse anche alla salvezza del genere umano.

Valutazioni del libro

Sembra dunque che una parte dell’analisi femminile possa orientarsi nel percorrere a ritroso un cammino che, partendo dal sintomo, e attraversando l’insicurezza 5x7LesliePosere il senso di colpa, raggiunge alla fine la repressione del deficit dell’aggressività e del desiderio. Come ho cercato di dimostrare, ho rintracciato questo percorso non seguendo un “a priori” ma piuttosto attraverso un’osservazione sistematicamente confermata nell’attività clinica. Constatavo nelle donne, a differenza che negli uomini, sensi di colpa e insicurezze senza riscontri nel passato e nel presente personale e che anzi risultavano conflittuali con la coscienza e con il sistema dei pensieri e delle opinioni. Così ho imparato poco per volta a riconoscere un’uniformità e una specie di “legge” in certe forme del comportamento femminile, anche tenendo conto della definitiva  originalità di ogni vita, e ho anche trovato una possibile spiegazione a diversi interrogativi che mi accompagnavano ormai da molti anni. Se nelle donne il senso di colpa è radicato nel delitto del “non essere”, allora per esempio si spiega perché le donne e le bambine violentate si sentano in colpa per l’abuso subito e attivino di conseguenza comportamenti autodistruttivi. Nella violenza sessuale, infatti, il “non essere” di una donna assume una particolare concretezza. E si spiega anche come mai così tante donne abbiano potuto subire una 4020080728100711violenza fisica, sessuale o no, anche quando avrebbero potuto evitarla, anche quando avrebbero potuto difendersi: dietro la soglia della coscienza un desiderio forte e legittimato di prevaricazione travolge un desiderio represso e illegale di autodifesa. Allo stesso tempo se il “non essere” è al tempo stesso delitto e legge –delitto contro se stesse e legge della società- diventa comprensibile la differenza di comportamento, molto sottolineata soprattutto in passato nell’infanzia dei due generi, in base alla quale i maschi risultano franchi, aperti e diretti e le femmine pettegole, ambigue e invidiose. Le bambine infatti si stanno faticosamente addestrando a reprimere un istinto che le aiuterebbe certo a essere aperte, leali e dirette, ma allo stesso tempo inevitabilmente anche aggressive e quindi socialmente svalutate. D’altra parte l’istinto esiste e deve cercare una sua espressione, anche se distorta e contratta, e la trova in quel complesso di comportamenti compiacenti e petulanti e in quella endemica vergogna di esistere che affliggono l’infanzia femminile. Così le bambine sembrano ripetere, anche se in modo via via più affievolito, comportamenti “imparati” così bene e da così tanto tempo da parere secondo natura. In altre parole, la riconduzione di modelli costanti autolesivi nell’alveo dell’inconscio collettivo contribuisce, secondo me, a spiegare come mai essi possano essere generali, sistematici e al tempo stesso nevrotici e come possano apparire naturali. L’abitudine a reprimere l’istinto aggressivo e il complesso dei desideri si è difesa Donna 300stabilizzata in migliaia di anni e ha generato in qualche modo un adattamento e quindi un equilibrio nel comportamento femminile. La presa di coscienza di questo stato di cose genera rabbia, depressione e anche un impulso trasformativo, ma il tentativo di spezzare lo strato ormai roccioso dell’abitudine produce uno stato di angoscia. Sappiamo che questa angoscia è riferibile all’aspetto tranquillizzante dell’abitudine alla quale si deve rinunciare, ma io credo che, nel nostro caso, sia anche riferibile al mistero, molto inquietante, dell’essere. Noi donne ci siamo abituate nel tempo a “non essere” e su questo stato abbiamo costruito un equilibrio, innaturale e nevrotico, ma un equilibrio; quando ci rendiamo conto che di fronte a noi  si apre un territorio in cui possiamo “essere”, e quando anche ci appassioniamo all’idea, emerge un’altra forma di angoscia che è quella di non sapere “chi” essere, in che modo, in quali forme. Non siamo abituate a esistere in funzione di noi stesse e non siamo capaci. La prima quasi automatica conseguenza è quella di procedere per imitazione e di assumere quindi le forme dell’identità maschile, dato che gli uomini sono quelli che davanti ai nostri occhi hanno sempre rappresentato la capacità di “essere” in prima persona, riservandosene l’onere e l’onore. Ma l’imitazione degli uomini, della loro forma di aggressività, del loro modo di desiderare, del loro pensiero razionale, della struttura gerarchica della loro organizzazione sociale, costituisce la più formidabile trappola tesa da noi stesse alla nostra liberazione, perché siamo sempre in fuori gioco. L’imitazione esclude la ricerca e semplifica apparentemente la vita, consente di raggiungere traguardi sociali e ci illude sulla parità, consegnandoci a un mondo che resta pensato al di fuori di noi. La sfida sembra quindi consistere nell’accettare le asperità del percorso e l’angoscia che deriva dal non sapere dove andiamo, perché stiamo andando a scoprire un “chi siamo”lavoro_donne2 che abbiamo dimenticato. Accettando l’angoscia, e anche certe balsamiche fasi depressive, diventa possibile cominciare a riconoscere che abbiamo un nostro sguardo sul mondo, che abbiamo pensieri da sempre censurati, che abbiamo un nostro modo di funzionare e che abbiamo anche voglia di manifestarlo e di difenderlo. Allora si può spezzare l’abitudine a non essere. Questo progetto di liberazione non riguarda più, a questo punto, solo le donne, ma tutta la nostra specie. Come in tempi remoti è stato necessario reprimere la visione femminile delle cose per poter sopravvivere, così oggi non sembra più possibile immaginare un futuro senza l’apporto di modi di pensare e di sentire accoglienti, comprensivi delle differenze, attenti alla complessità, sensibili al pericolo e al dolore, indifferenti alla gerarchia e alla competizione, orientati alla difesa della vita che è al tempo stesso spirito e materia. Dando un’occhiata al mondo di oggi, può sembrare una strada tutta in salita, ma scorciatoie non ne vedo e forse l’inconscio può essere una guida.

Considerazioni di lorenzo

oltreL’attuale situazione  dei generi riflette in sostanza due tipi di movimento: un cammino “a perdere” da parte dei maschi, in diritti e impegni, e un cammino “a conquistare” da parte delle femmine. Ma l’Autrice afferma recisamente che gli “idealtipi” maschili e femminili sono diversi e la cosa migliore, naturale, sarebbe di renderli di pari dignità, accettandoli con le loro differenze, il maschio prevalentemente deduttivo, analitico, esplorativo e la femmina prevalentemente sintetica, intuitiva, ricettiva. La contemporanea presenza dei due elementi in un rapporto di empatia e rispetto consentirebbe alle due metà del cielo di offrire il meglio di sé e la migliore crescita dell’insieme. Il guaio sarebbe se ognuno dei due generi oltrepassasse il proprio confine divenendo altro da sé, creando, per i più vari motivi, categorie di  “maschi-femmine” e di “femmine maschi”. Ci sono purtroppo casi sempre più numerosi di tali situazioni, con  prevedibili esiti funesti, attuali e futuri, per l’umanità. Una riflessione è d’obbligo, a mio parere.

Vogliamo provarci, amici di Eldy?

Lorenzo.rm

Lorenzo


COMMENTI

  1. il 21 aprile, 2010 Lorenzo.rm dice:

    Stavolta siamo davvero scientifici. Attendiamo con ansia i vostri commenti.

  2. il 21 aprile, 2010 Lorenzo.rm dice:

    Forse qualcuno non lo sa. Ma ci sono persone che non hanno forfora. Risponderò anche a questo se qualcuno me lo chiede.

  3. il 21 aprile, 2010 giovanna3.rm dice:

    Sto leggendo con grande interesse il libro molto sconcertante di Marina Valcarenghi: “L’aggressività femminile”.
    A mio parer

  4. il 21 aprile, 2010 giovanna3.rm dice:

    A mio parere, quando la donna assume comportamenti e modi di essere del maschio, rinunciando alla sua particolare diversità, in una parola alle sue caratteritiche specifiche, ritenendo così di affermarsi, commette un gravissimo errore. Il maschio, peraltro, è sconcertato e non sa più come deve affrontare la nuova situazione e la coppia non è più in grado di trovare punti d’incontro.
    Non riesco a capire come potrà risolversi la situazione e mi piacerebbe molto discuterne in questa sede. Proviamoci.

  5. il 21 aprile, 2010 NEMBO dice:

    Bellissimo argomento lorenzo, come esperienza di vita dico subito che chi è aggressivo è insicuro. Dificile credere che nessuno di noi abbia mai avuto a che fare, più o meno direttamente, con il fenomeno dell’aggressività -femminile-,non dando forse la giusta importanza ai fatti (es. x un parcheggio)forse nn vi siete mai resi conto, ma riflettendo ci si pone una domanda:Da angelo del focolare ad amazzone guerriera,tutto questo diventa quotidiano, forse è dovuto al nostro modo di vivere, esigenze lavorative, mancanza di tempo per un dialogo,tutto questo logora i rapporti tra partner e trasformano le relazioni in momenti di aggressività. Forse le donne di oggi pretendono un pò troppo dall’uomo:cultura, intelligenza, bellezza, e prestazione fisica, oppure siamo noi uomini che non riusciamo più a capire le esigenze delle donne? la vita di oggi è un sistema in cui ognuno ha la sua funzione, ma purtroppo vediamo aumentare l’aggressività femminile la quale per certi versi ha penalizzato gli aspetti del maschio. Concludo dicendo però che qualificare le donne come “aggressive” è un segnale di paura; e direi anche che la loro aggressività è più verbale e non fisica, ma..a volte le parole fanno più male…le donne possiedono la finezza di fermarsi e pensare per poi colpire con ambiguità i punti deboli degli avversari,diciamo pure che sono più astute.

  6. il 21 aprile, 2010 Lorenzo.rm dice:

    A Giovanna, ringraziandola, dico che mi sembra abbia centrato il problema dal punto di vista dei propositi: in particolare quello di migliorare il rapporto fra i generi. Certo, se da un rapporto di dipendenza e mortificazione della donna nei confronti dell’uomo, si passasse ad un stato di guerra più o meno permanente ed al compimento di una, vera o soltanto avvertita, rivalsa da parte della donna e di mortificazione da parte dell’uomo, non si andrebbe, alla fine, da nessuna parte. Ma il libro non è fatto solo per impedire che si giunga a questa situazione. Il libro è fondamentale in quanto fissa le caratteristiche distintive dei due generi e qualifica il perché, magari in nome della libertà, si sfasci definitivamente il rapporto fra uomo e donna, e stavolta per sempre. Bastano queste battute per ora. Spero che, nel decorso del ragionamento, possiamo approfondire .

  7. il 21 aprile, 2010 Lorenzo.rm dice:

    Di Nembo apprezzo particolarmente il modo concreto, “pratico”, di quanto dice. Tutta giusta la esemplificazione. La Dottoressa Valcarenghi, peraltro, parla dell’aggressività femminile in un modo particolare. C’è l’aggressività giusta in cui si cerca di rivendicare il diritto al proprio stato. E c’è l’aggressività errata, cioè quella vendicativa, come la chiama Nembo, in cui la donna si vendica dei torti subiti. Occorre sbarazzarsi di quella cattiva, che fa della donna una “deviata”, che rivendica qualcosa che non è sua, ed acquistare, anche rivendicando con forza, quella propria, distintiva.
    In fondo, la prima cosa da fare è chiarire, in primo luogo a se stessi, il perché si lotta, non lottare e basta, magari vendicandosi con “astuzia”, come dice Nembo, in nome della libertà.

  8. il 21 aprile, 2010 scoiattolina dice:

    lorenzo che dire , io di questi problemi conosco ben poco e mi sto informando attraverso la lettura , di sicuro è un problema grosso che riguarda noi giovani che ci stiamo affacciando al mondo ,,,, corriamo noi donne come dice giovanna ad essere più forti degli uomini cerchiamo di prevalere o di non farci mettere i piedi in testa e quindi succede che l’uomo nn si sente più forte e le donne prendono il sopravvento e mi domando come mai succede questo xchè l’uomo resta impassibile ?

  9. il 22 aprile, 2010 Lorenzo.rm dice:

    Sabrina, l’uomo purtroppo non rimane impassibile ma si lamenta e dice che è tutta colpa della donna, e non è giusto che lo dica perché questo presuppone che la donna non acquisti quella pari dignità e libertà che deve raggiungere in quanto è un suo diritto.
    Ma la pari dignità e libertà non bastano. Occorre che ci sia un “riposizionamento” che faccia sì che i generi esplichino appieno le loro caratteristiche, secondo la loro natura. La Professoressa Valcarenghi esamina ed esplicita tali caratteristiche chiarendo che esse dovrebbero essere assicurate perché ambedue i generi giungano al pieno riconoscimento della loro diversità nella libertà e parità. Questo vorrebbe dire che non c’è alcuna supremazia da affermare ma garanzie e tutele da assicurare.
    Io voglio mettere in campo due altri elementi in questa vicenda assai difficile da affrontare per l’intera umanità: il rapporto fra i sessi esplicato in termini di competizione, cui abbiamo già accennato, ed il sorgere di rapporti ambigui fra i sessi. L’ho detto nei commenti finali dell’articolo. Può accadere che nella sua nuova insicurezza determinata dalla crescita, ahimé tanto limitata ancora, della donna, il maschio regredendo cerchi di accostarsi ad altri maschi deboli come lui creando permanenti rapporti omosex di ricaduta. E così può avvenire che anche le donne, in una loro crescita di competizione con gli uomini, si accostino preferibilmente ad altre donne in vista delle future battaglie di genere.
    Tutto ciò suona innaturale in un mondo che vede nell’armonia fra i sessi l’elemento fondamentale di crescita.
    Mi viene da dire che Dio li creò uomo e donna per uno scopo preciso e non per capriccio. E tanto più l’empatia fra i due generi sarebbe necessaria in quanto gli stessi siano diversi fra loro per caratteristiche intellettuali, di sentimento, di comportamento. Assieme, i due generi assicurerebbero all’umanità le vette più alte dello sviluppo, che potrebbe anche misurarsi, in situazioni determinate, con apposite verifiche.

  10. il 22 aprile, 2010 lieta dice:

    io penso che se c’è po’ di aggressività è mancato dialogo sincero protezione reciproca e strausura della santa pazienza cmq ci si può volendo sempre capire perdonare tendere la mano proprio oggi leggevo del perdono su avvenire di castagna di erba fa lui molto di + che tanti preti con questo suo essere com’è articolo editoriale di bellaspiga giornalista bravissima

  11. il 22 aprile, 2010 Lorenzo.rm dice:

    Certo, Lieta, a monte di tutto deve esserci un dialogo vero, sincero e rispettoso fra uomo e donna. Poi, l’adozione di tutte le misure perché la donna venga tirata fuori dai suoi problemi antichi, che la vedono o sottomessa o ribelle. Acquisita la parità reale, ma una parità che non rinneghi la peculiarità di genere della donna, si può avviare un cammino comune nel pieno rispetto di tutti. Naturalmente, in questo cammino non c’è un prima e un dopo, ma un obiettivo di vera libertà da raggiungere per la donna. E qui viene in ballo l’indicazione precisa da parte della Professoressa Valcarenghi: dar vita ad una aggressività femminile giusta, quella che deve consentirle di proporsi e realizzarsi come genere, senza cedere a nessuno, né per necessità, né per amore, né per costrizione. Ma per essere se stessa. Parallelamente, “fare abbassare le penne” agli uomini, ma senza mortificare le giuste caratteristiche del proprio genere, anch’esso importante all’umanità. Vogliamo parlare di “sintesi”, di simpatia fra i due generi? Io sono un tifoso di questa possibile evoluzione. E tanto più lo sono dopo aver letto questo fantastico libro di cui stiamo discutendo.

  12. il 24 aprile, 2010 lieta dice:

    caro lorenzo l’ho prenotato biblioteca ciao

  13. il 24 aprile, 2010 Lorenzo.rm dice:

    Approfitto per salutarti, Lietaré.

  14. il 24 aprile, 2010 scoiattolina dice:

    chi è Lietaré ? spiegaci !!

  15. il 25 aprile, 2010 Lorenzo.rm dice:

    Lietaré è Lieta, Sabrina.

  16. il 26 aprile, 2010 lieta dice:

    sco so io lore me chiama alla romana affettivmente vezzeggiativo glelo posso concedere?

  17. il 26 aprile, 2010 Lorenzo.rm dice:

    Sabry, Lieta è una cara persona. Io so’ d’accordo. Concediglielo.

  18. il 26 aprile, 2010 scoiattolina dice:

    si si era solo curiosità …bleeeee evviva le donne !!


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