L’Angolo del dialogo – Pianeta Donna
Scritto da giovanna3rm il 26 Febbraio 2013 | 32 commenti- commenta anche tu!
Riteniamo utile approfondire l’argomento dello Stalking. Proprio in questi giorni, mi è capitato di apprendere dalla stampa una vicenda molto pesante, che riguarda questo argomento, accaduta ad una giovane ventenne di Parma, che mi ha profondamente colpito. A tale proposito, ho fatto delle ricerche nel Web e ho trovato non solo una precisa descrizione del fenomeno ma anche alcune indicazioni di come difendersi. La descrizione è stata curata da Renata Taccani, nel luglio del 2012, e ve la proponiamo. Ci auguriamo ne possa nascere una proficua discussione tra noi, che serva a chiarirci meglio le idee su questi episodi e magari suggerire, per quanto possibile, modi efficaci per affrontarli senza rischi. Questi fatti, accadono prevalentemente a giovani donne giovani, ma non solo: ecco la ragione per quale abbiamo ritenuto opportuno parlarne. Abbiamo chiesto a Lorenzo se potevamo pubblicare questo servizio nella sua Rubrica “Pianeta Donna”, e si è detto felice di ospitarci.
“Il termine stalking deriva dal linguaggio venatorio ma ormai è entrato a far parte della nostra quotidianità, per definire una delle forme di violenza più subdole che si possano immaginare. Dal 2009 è anche un reato preciso che la giustizia punisce, grazie all’introduzione dell’articolo 612-bis del codice penale. In inglese il verbo to stalk significa “fare la posta”, e lo stalker è appunto il cacciatore che sta in agguato spiando la sua preda. Proprio come accade nei casi di stalking di cui giornali e televisione si occupano ormai a cadenza regolare, raccontando vicende dagli epiloghi spesso drammatici. Il punto di partenza sono sequele di atti persecutori che stravolgono la vita di chi li subisce (nell’80% dei casi le vittime sono donne). Può trattarsi di appostamenti, telefonate a tutte le ore, e-mail vessatorie, minacce, incursioni nella sfera più intima dell’esistenza: comportamenti che non soltanto violano la privacy delle vittime, ma generano in loro ansia e paura, costringendole a vivere in uno stato di allerta perenne.
Tutte dinamiche che conosce bene l’avvocato milanese Francesca Maria Zanasi, esperta in diritto della persona e autrice di diverse pubblicazioni sul tema: l’ultima, intitolata L’odioso reato di stalking , uscirà a fine luglio. Con lei abbiamo parlato di questa forma di violenza, in aumento inesorabile, e del modo migliore per difendersi.
Numeri che fanno paura
Di solito i media parlano delle storie di stalking quando per le vittime non c’è più niente da fare. I dati dicono che tra il 2002 e il 2008 il 10% degli omicidi avvenuti in Italia ha avuto come precedente dei comportamenti di questo tipo. E dicono anche che la durata media delle persecuzioni è di 18 mesi. Per fortuna però dalle statistiche emerge anche un dato positivo: quasi il 60% degli stalker interrompe le persecuzioni quando riceve una diffida.
E allora è da qui che bisogna partire, per far passare una volta per tutte l’idea che lo stalking va denunciato sempre e comunque: anche quando coinvolge il proprio ex partner e anche quando si pensa – sbagliando – che il tempo possa appianare le cose. Per poter capire quando ci si trova davanti a un caso di stalking, è però fondamentale innanzitutto tracciarne i contorni. Spiega l’avvocato Zanasi: «La definizione di stalking è chiara: si intendono quei comportamenti persecutori – diretti o indiretti, ma comunque ripetuti nel tempo – che pongono la vittima in uno stato di soggezione, provocando in lei un disagio fisico o psichico, e un motivato senso di timore. In pratica, lo stalker cerca in ogni modo di esercitare un controllo o di entrare in contatto con l’oggetto delle sue morbose attenzioni, e con questo scopo compie atti ripetuti e intrusivi. Si va dai pedinamenti agli sms in qualsiasi momento del giorno e della notte, dai regali indesiderati alle telefonate assillanti, fino alle minacce vere e proprie: di fatto, persecuzioni che fanno sentire “braccata” la vittima, inducendola a modificare le proprie abitudini e a vivere un’esistenza condizionata da questa presenza destabilizzante».
Identikit di un persecutore
La Polizia di Stato ha tracciato una classificazione delle 5 principali tipologie di stalker. C’è innanzitutto l’ex partner, che prova odio verso la vittima ritenendola responsabile della relazione fallita, e la minaccia sia verbalmente sia concretamente. Al secondo posto c’è il giovane adulto che sviluppa fantasie ossessive sulla persona di cui è invaghito, indirizzandole attenzioni continue non malevole, ma comunque non desiderate.
Il terzo profilo è quello dell’individuo affetto da disturbi della personalità di tipo borderline (in alcuni casi è già noto alle forze dell’ordine per precedenti condotte devianti) che vuole instaurare un rapporto di natura sessuale. Il quarto identikit è il soggetto delirante, convinto di avere una relazione consensuale con la vittima, al punto da attribuire a fattori esterni la colpa delle eventuali smentite alle sue farneticazioni. Infine, c’è il molestatore sadico, che vuole innervosire e portare all’isolamento la vittima, minandone l’autostima. Ancora Francesca Maria Zanasi: «Lo stalker molesta anche quando rimane a distanza, perché riempie lo spazio “vuoto” con fantasie (spesso a sfondo sessuale) che traduce in parole e comportamenti. Per parte sua la vittima inizia presto a manifestare depressione, ansia o disturbi post-traumatici. Gli effetti dello stalking sono infatti molteplici, e la privazione violenta della libertà personale ha conseguenze sia psicologiche che sociali ed economiche. La vittima dei corteggiamenti ossessivi, infatti, finisce spesso per isolarsi da amici e familiari, arrivando a cambiare il numero di telefono o a modificare i propri tragitti quotidiani».
Cosa fare se si è vittime di stalking?
Una svolta fondamentale è arrivata con la legge 38/2009 e con l’introduzione nel codice penale dell’articolo 612-bis sugli Atti Persecutori, che punisce lo stalking con reclusione da 6 mesi a 4 anni, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”. La strada da percorrere è quindi quella del ricorso alla legge, presentando in questura una richiesta di ammonimento (se la situazione non è particolarmente grave) oppure, nei casi più seri, procedendo direttamente con la querela per stalking e la richiesta che venga disposto dal giudice il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati."
A proposito del libro di Francesca Maria Zanasi, “L’Odioso reato di stalking”, Edit. Giuffré, già citato, riportiamo una breve sintesi del suo contenuto.


