Archive for giugno, 2022

LA GUERRA NELLA MEMORIA DI UN BAMBINO

 

LA GUERRA 1940-1945

Nella memoria di un bambino

 

Echi di guerra risuonano oggi in Europa e i media ne riportano quotidianamente tutti gli sviluppi e le tragedie.

Nelle persone di una certa età, che la guerra l’hanno vista da bambini, ritornano alla mente, con rinnovata trepidazione, gli episodi vissuti nella loro giovane età.

LA MIA STORIA

 

Avevo poco più di cinque anni. Da pochi mesi la famiglia si era sistemata in questo paesino che contava circa 250 abitanti,  a seguito dello ‘sfollamento’ dalla città, Cagliari, che era stata oggetto delle incursioni aeree nemiche con bombardamenti inizialmente su obiettivi sensibili quali il porto marittimo, l’aeroporto, la stazione ferroviaria ma che, in un secondo tempo, proseguirono anche sulle abitazioni civili e monumenti cittadini.

 

Cagliari dopo un bombardamento

 

Cagliari, via Crispi - le squadre di soccorso dopo le bombe

   

Con inizio dal 17 febbraio 1943, in pochi giorni la città era ridotta ad un cumulo di macerie, innumerevoli i morti e tantissimi i feriti.

Cronaca dell’epoca sul quotidiano,locale

Mio padre era stato richiamato al servizio militare con destinazione in una caserma del centro Sardegna nella quale erano ubicate le postazioni antiaeree in difesa della diga sul fiume Tirso. In tale diga funzionava una importante industria idroelettrica per la produzione di energia.

 

Diga di Santa Chiara sul Fiume Tirso

Nelle incertezze del momento, mio padre pensò di avviccinare la famiglia e aveva dato a mia madre le indicazioni per raggiungere questo paesino nelle vicinanze della caserma ove egli era stato destinato. Non gli fu concessa neppure una breve licenza per andare a prendere la famiglia per cui mia madre dovette arrangiarsi da sola. Ricordo che era stato un viaggio faticoso, pieno di difficoltà, parte in treno e parte in pullman, durato due giorni e una notte per percorrere poco più di 150 km.

   

Cagliari - Distruzione in Viale Regina Margherita

   

Cagliari - macerie dopo un bombardamento

Essendo inagibile e quindi fuori servizio la stazione delle Ferrovie dello Stato di Cagliari, con mezzi secondari si riuscì a raggiungere una stazione intermedia della linea principale e trascorremmo una notte nella sala d’attesa di questa, accovacciati per terra sui fagotti di lenzuola e coperte contenenti le cose essenziali portate via da casa frettolosamente.

       

Si restò lì quasi l’intera notte in attesa dell’arrivo del treno che avrebbe consentito il proseguimento del viaggio. Lo sbuffare della locomotiva a vapore fu quasi una liberazione, scosse dal torpore gli animi insonnoliti e tutti, al buio, si affrettarono a salire sul treno. Finalmente si poteva proseguire. Si giunse ad Oristano a giorno fatto ma qui è stata necessaria una lunga sosta per il rifornimento di acqua e carbone al mezzo di trazione e la ristorazione del personale del treno, Macchinisti, Capotreno e addetti alla scorta.

Anche i viaggiatori dovevano sostentarsi e ricordo che il mio pasto fu un tozzo di pane raffermo, ammorbidito con un pò d’acqua e ricoperto con un poco di zucchero. Questo è quanto aveva la mia mamma nella sua borsa.

Si arrivò ad Abbasanta a metà pomeriggio e da qui si doveva proseguire ancora con una corriera ma dopo circa un chilometro questa andò in panne: una gomma si era sgonfiata ed il mezzo non aveva in dotazione ruote di scorta. L’autista avvisò i malcapitati viaggiatori che occorrevano almeno tre/quattro ore per la riparazione. Per chi doveva raggiungere le località più vicine suggerì che era conveniente proseguire a piedi, sarebbero arrivati prima. Potevano lasciare i bagagli sulla corriera, si fece indicare quali erano e prese nota dei nomi: li avrebbe scaricati lui stesso presso il Municipio o la stazione dei Carabinieri del paese di destinazione.

 

Trasporto degli sfollati con una sgangherata corriera

Mia madre e un’altra signora che aveva la stessa destinazione, ciascuna con due bambini, erano talmente stanche che non avevano avuto la forza di obiettare. Raccomandarono ad una compagna di viaggio di sorvegliare sui loro bagagli e si avviarono. Presero le bambine piccole in braccio ed ai due maschietti dissero “Voi siete grandi e potete andare a piedi”. Non si sa quale forza potesse ancora sorreggerli dopo quei due giorni di sofferenze. Dovettero percorrere ancora sette chilometri ma finalmente arrivarono a destinazione.

Le parole: “Tu sei grande”, pronunciate da mia madre, mi avevano dato una carica inaspettata e proseguii, con la forza data dell’orgoglio di quelle parole. Mi sentivo responsabilizzato e vedevo la pena di mia madre a dover tenere in braccio la mia sorellina più piccola.

 C’era quasi tutto il paese ad attenderci, ansiosi e curiosi di vedere is casteddarzos (i cagliaritani) e tutti si dettero da fare per rifocillare i nuovi arrivati. Fu una bella dimostrazione di solidarietà ed accoglienza.

 

Il mio ricordo è legato solo ad una grande tazza di latte che mi venne offerta in quella occasione, ma mia madre mi ha poi raccontato che dopo quella zuppa di pane e latte fui messo a letto e dormii fino alla sera del giorno successivo, quindi un’altra tazza di latte e mi addormentai di nuovo fino al mattino dopo. Finalmente avevo recuperato lo sfinimento della stanchezza di quei due giorni di viaggio!

 

Mi integrai presto nel gruppo dei bambini del paese che mi presero a benvolere. Ogni mattina ci si riuniva per i giochi e si scorrazzava in tutte le strade, comunque prive di qualsiasi veicolo a motore. Il più grande di noi forse non aveva compiuto ancora otto anni e gli era stato riconosciuto il ruolo di ‘capo’ perché lui decideva dove andare e il gioco da fare ogni mattino quando ci si riuniva. Sempre lui, per la sua maggiore esperienza, ci indicava quale era il punto più protetto e sicuro dove ripararci quando passava una mandria di bovini o un gregge di pecore al rientro dal pascolo. Era stato lui che aveva smorzato qualche nascente rivalità nei miei confronti da parte di qualcuno del gruppo, motivando il fatto che essendo “strangiu” (straniero), cioè non del posto, dovevo essere rispettato come ospite, e tutti si adeguarono. Diventai quindi il suo ‘luogotenente’ ed ero orgoglioso del ruolo perché avevo assunto una certa importanza nel gruppo.

Non eravamo lontani dalla guerra poiché anche in questa zona avvenivano le incursioni aeree proprio per la presenza della diga con gli impianti idroelettrici che era un obiettivo da colpire per i conseguenti danni cha avrebbe provocato la sua demolizione. I bombardamenti avvenivano prevalentemente durante le ore notturne e ricordo ancora mia madre che mi scuoteva per svegliarmi dal sonno e mi sollecitava a correre verso gli improvvisati rifugi quando suonavano le sirene d’allarme. Per le comprensibili esigenze di servisio, mio padre dormiva in caserma. Lei, già alla terza gravidanza, mi seguiva spaventata e affannante con in braccio la mia sorellina di appena 3 anni. Per il ripetersi di questo fatto quasi tutte le notti,  decisero di mettermi a dormire presso la famiglia della casa che aveva nel proprio cortile una sorta di rifugio che altro non era che una buca scavata nel terreno, sotto una enorme pianta di fico, e ricoperta di tronchi, tavole e frasche e che poteva ospitare circa dieci persone. Questa buca veniva illuminata da una candela alloggiata in una nicchia affinché la luce non trapelasse all’esterno. Nella mia nuova sistemazione per la notte non avevo bisogno di vestirmi in fretta e correre verso la presunta salvezza perché dormivo nella stanza di una ragazza, allora 16enne, ed era lei che al suonare delle sirene d’allarme, mi avvolgeva in una coperta e mi portava in braccio fino al rifugio. Io mi svegliavo al contatto dell’aria fresca della notte e la prima cosa che mi capitava di vedere era il cielo nero solcato dai razzi illuminanti con i quali si cercava di individuare gli obiettivi da colpire. Mia madre con la mia sorellina arrivava quando già erano iniziate le preghiere per invocare la protezione della Madonna e dei santi, oltre a quella del Buon Dio. Negli anni successivi, con la maturazione della ragione, capii che quella “buca rifugio” altro non poteva essere che una tomba pronta senza bisogno di altra sepoltura nel caso fosse arrivata la devastazione di una bomba. Le incursioni e i bombardamenti non erano mai mirati verso i centri abitati ma una mattina ci fu un episodio che ho vissuto dal vivo e che ha lasciato un ricordo indelebile ancora oggi:

Durante il giorno capitava di vedere il passaggio di aerei in volo di ricognizione per individuare gli obiettivi da colpire poi nelle incursioni notturne. Erano voli in quota, fuori dalla portata dell’offensiva delle postazioni contraeree. Quella mattina apparve in alto una formazione di tre aerei, probabilmente caccia da ricognizione provenienti dalla vicina Corsica. Un gruppo di donne del paese si fermarono ad osservare e noi ragazzini/bambini incuriositi facemmo altrettanto, addossati ad un muretto che su un lato della strada fungeva da parapetto verso la scarpata mentre sull’altro lato c’era una serie di case in mattoni crudi (lardiri, ovvero mattoni di fango d’argilla e paglia), tipiche di vaste zone della Sardegna. Uno degli aerei si staccò dalla formazione e si diresse verso di noi. Non si ebbe il tempo di capire cosa stesse succedendo e ce lo trovammo davanti sempre più vicino. Il rombo dei motori dell’aereo in picchiata e subito dopo in cabrata forse coprì il rumore della sventagliata di mitra che ci passò poco sopra la testa. Solo dopo ci siamo resi conto che avevamo corso un grosso rischio perché l’unico a farne le spese era stato un vecchietto del paese che era seduto, addossato al muro, sull’altro lato della strada per godersi i primi tepori del sole primaverile. Conseguente lutto cittadino ed esequie della vittima il giorno successivo.

Noi ragazzini, nella nostra incoscienza infantile continuavamo a giocare nelle strade e proprio mentre gli adulti partecipavano ai funerali della incolpevole vittima, noi ci siamo dedicati al recupero delle pallottole conficcatesi nel muro di mattoni crudi. Il capo banda, fornito di un coltellino a serramanico,  né recuperò tre per non doversi smentire del ruolo di capo mentre io, a fatica, con un pezzo di canna appuntita, ne recuperai solo una ma tanto bastava perché anche io avessi il mio trofeo e convalidassi la mia importanza nel gruppo. Chiaramente il tutto ci fu poi sequestrato dagli adulti che ci redarguirono severamente per aver recuperato quelle pallottole allargando il foro nel muro lasciato dalle stesse. Ancora oggi mi domando cosa abbia spinto l’equipaggio di quell’aereo a buttarsi contro degli inermi civili contravvenendo, forse, agli stessi scopi della missione di perlustrazione diurna. Volevano solo spaventare degli inermi civili o volevano compiere una strage?  Oppure dimostrazione di forza e voglia di vendetta perché nei giorni precedenti era stato abbattuto un loro aereo proprio dalla contraerea della diga? Domande destinate a restare senza risposta per sempre. Ma questa è la guerra in tutte le parti del mondo.

Perdonate la mia prolissità: doveva essere un racconto breve ma i ricordi che via, via mi tornavano alla mente mi hanno preso la mano e vi prego di scusarmi se, alla fine, mi sono dilungato troppo, ma volevo raccontarvi anche questa storia, oggi più che mai attuale per le vicende della guerra  in Ucraina.

Nel ringraziarvi per la cortese attenzione auguro a tutti una serena Domenica.

     
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