Scritto da Giuseppe il 25 Giugno 2022 |
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LA GUERRA 1940-1945
Nella memoria di un bambino
Echi di guerra risuonano oggi in Europa e i media ne riportano quotidianamente tutti gli sviluppi e le tragedie.
Nelle persone di una certa età, che la guerra l’hanno vista da bambini, ritornano alla mente, con rinnovata trepidazione, gli episodi vissuti nella loro giovane età.
LA MIA STORIA
Avevo poco più di cinque anni. Da pochi mesi la famiglia si era sistemata in questo paesino che contava circa 250 abitanti, a seguito dello ‘sfollamento’ dalla città, Cagliari, che era stata oggetto delle incursioni aeree nemiche con bombardamenti inizialmente su obiettivi sensibili quali il porto marittimo, l’aeroporto, la stazione ferroviaria ma che, in un secondo tempo, proseguirono anche sulle abitazioni civili e monumenti cittadini.
Cagliari dopo un bombardamento
Cagliari, via Crispi - le squadre di soccorso dopo le bombe
Con inizio dal 17 febbraio 1943, in pochi giorni la città era ridotta ad un cumulo di macerie, innumerevoli i morti e tantissimi i feriti.
Cronaca dell’epoca sul quotidiano,locale
Mio padre era stato richiamato al servizio militare con destinazione in una caserma del centro Sardegna nella quale erano ubicate le postazioni antiaeree in difesa della diga sul fiume Tirso. In tale diga funzionava una importante industria idroelettrica per la produzione di energia.
Diga di Santa Chiara sul Fiume Tirso
Nelle incertezze del momento, mio padre pensò di avviccinare la famiglia e aveva dato a mia madre le indicazioni per raggiungere questo paesino nelle vicinanze della caserma ove egli era stato destinato. Non gli fu concessa neppure una breve licenza per andare a prendere la famiglia per cui mia madre dovette arrangiarsi da sola. Ricordo che era stato un viaggio faticoso, pieno di difficoltà, parte in treno e parte in pullman, durato due giorni e una notte per percorrere poco più di 150 km.

Cagliari - Distruzione in Viale Regina Margherita
Cagliari - macerie dopo un bombardamento
Essendo inagibile e quindi fuori servizio la stazione delle Ferrovie dello Stato di Cagliari, con mezzi secondari si riuscì a raggiungere una stazione intermedia della linea principale e trascorremmo una notte nella sala d’attesa di questa, accovacciati per terra sui fagotti di lenzuola e coperte contenenti le cose essenziali portate via da casa frettolosamente.
Si restò lì quasi l’intera notte in attesa dell’arrivo del treno che avrebbe consentito il proseguimento del viaggio. Lo sbuffare della locomotiva a vapore fu quasi una liberazione, scosse dal torpore gli animi insonnoliti e tutti, al buio, si affrettarono a salire sul treno. Finalmente si poteva proseguire. Si giunse ad Oristano a giorno fatto ma qui è stata necessaria una lunga sosta per il rifornimento di acqua e carbone al mezzo di trazione e la ristorazione del personale del treno, Macchinisti, Capotreno e addetti alla scorta.
Anche i viaggiatori dovevano sostentarsi e ricordo che il mio pasto fu un tozzo di pane raffermo, ammorbidito con un pò d’acqua e ricoperto con un poco di zucchero. Questo è quanto aveva la mia mamma nella sua borsa.
Si arrivò ad Abbasanta a metà pomeriggio e da qui si doveva proseguire ancora con una corriera ma dopo circa un chilometro questa andò in panne: una gomma si era sgonfiata ed il mezzo non aveva in dotazione ruote di scorta. L’autista avvisò i malcapitati viaggiatori che occorrevano almeno tre/quattro ore per la riparazione. Per chi doveva raggiungere le località più vicine suggerì che era conveniente proseguire a piedi, sarebbero arrivati prima. Potevano lasciare i bagagli sulla corriera, si fece indicare quali erano e prese nota dei nomi: li avrebbe scaricati lui stesso presso il Municipio o la stazione dei Carabinieri del paese di destinazione.
Trasporto degli sfollati con una sgangherata corriera
Mia madre e un’altra signora che aveva la stessa destinazione, ciascuna con due bambini, erano talmente stanche che non avevano avuto la forza di obiettare. Raccomandarono ad una compagna di viaggio di sorvegliare sui loro bagagli e si avviarono. Presero le bambine piccole in braccio ed ai due maschietti dissero “Voi siete grandi e potete andare a piedi”. Non si sa quale forza potesse ancora sorreggerli dopo quei due giorni di sofferenze. Dovettero percorrere ancora sette chilometri ma finalmente arrivarono a destinazione.
Le parole: “Tu sei grande”, pronunciate da mia madre, mi avevano dato una carica inaspettata e proseguii, con la forza data dell’orgoglio di quelle parole. Mi sentivo responsabilizzato e vedevo la pena di mia madre a dover tenere in braccio la mia sorellina più piccola.
C’era quasi tutto il paese ad attenderci, ansiosi e curiosi di vedere is casteddarzos (i cagliaritani) e tutti si dettero da fare per rifocillare i nuovi arrivati. Fu una bella dimostrazione di solidarietà ed accoglienza.
Il mio ricordo è legato solo ad una grande tazza di latte che mi venne offerta in quella occasione, ma mia madre mi ha poi raccontato che dopo quella zuppa di pane e latte fui messo a letto e dormii fino alla sera del giorno successivo, quindi un’altra tazza di latte e mi addormentai di nuovo fino al mattino dopo. Finalmente avevo recuperato lo sfinimento della stanchezza di quei due giorni di viaggio!
Mi integrai presto nel gruppo dei bambini del paese che mi presero a benvolere. Ogni mattina ci si riuniva per i giochi e si scorrazzava in tutte le strade, comunque prive di qualsiasi veicolo a motore. Il più grande di noi forse non aveva compiuto ancora otto anni e gli era stato riconosciuto il ruolo di ‘capo’ perché lui decideva dove andare e il gioco da fare ogni mattino quando ci si riuniva. Sempre lui, per la sua maggiore esperienza, ci indicava quale era il punto più protetto e sicuro dove ripararci quando passava una mandria di bovini o un gregge di pecore al rientro dal pascolo. Era stato lui che aveva smorzato qualche nascente rivalità nei miei confronti da parte di qualcuno del gruppo, motivando il fatto che essendo “strangiu” (straniero), cioè non del posto, dovevo essere rispettato come ospite, e tutti si adeguarono. Diventai quindi il suo ‘luogotenente’ ed ero orgoglioso del ruolo perché avevo assunto una certa importanza nel gruppo.
Non eravamo lontani dalla guerra poiché anche in questa zona avvenivano le incursioni aeree proprio per la presenza della diga con gli impianti idroelettrici che era un obiettivo da colpire per i conseguenti danni cha avrebbe provocato la sua demolizione. I bombardamenti avvenivano prevalentemente durante le ore notturne e ricordo ancora mia madre che mi scuoteva per svegliarmi dal sonno e mi sollecitava a correre verso gli improvvisati rifugi quando suonavano le sirene d’allarme. Per le comprensibili esigenze di servisio, mio padre dormiva in caserma. Lei, già alla terza gravidanza, mi seguiva spaventata e affannante con in braccio la mia sorellina di appena 3 anni. Per il ripetersi di questo fatto quasi tutte le notti, decisero di mettermi a dormire presso la famiglia della casa che aveva nel proprio cortile una sorta di rifugio che altro non era che una buca scavata nel terreno, sotto una enorme pianta di fico, e ricoperta di tronchi, tavole e frasche e che poteva ospitare circa dieci persone. Questa buca veniva illuminata da una candela alloggiata in una nicchia affinché la luce non trapelasse all’esterno. Nella mia nuova sistemazione per la notte non avevo bisogno di vestirmi in fretta e correre verso la presunta salvezza perché dormivo nella stanza di una ragazza, allora 16enne, ed era lei che al suonare delle sirene d’allarme, mi avvolgeva in una coperta e mi portava in braccio fino al rifugio. Io mi svegliavo al contatto dell’aria fresca della notte e la prima cosa che mi capitava di vedere era il cielo nero solcato dai razzi illuminanti con i quali si cercava di individuare gli obiettivi da colpire. Mia madre con la mia sorellina arrivava quando già erano iniziate le preghiere per invocare la protezione della Madonna e dei santi, oltre a quella del Buon Dio. Negli anni successivi, con la maturazione della ragione, capii che quella “buca rifugio” altro non poteva essere che una tomba pronta senza bisogno di altra sepoltura nel caso fosse arrivata la devastazione di una bomba.
Le incursioni e i bombardamenti non erano mai mirati verso i centri abitati ma una mattina ci fu un episodio che ho vissuto dal vivo e che ha lasciato un ricordo indelebile ancora oggi:
Durante il giorno capitava di vedere il passaggio di aerei in volo di ricognizione per individuare gli obiettivi da colpire poi nelle incursioni notturne. Erano voli in quota, fuori dalla portata dell’offensiva delle postazioni contraeree. Quella mattina apparve in alto una formazione di tre aerei, probabilmente caccia da ricognizione provenienti dalla vicina Corsica. Un gruppo di donne del paese si fermarono ad osservare e noi ragazzini/bambini incuriositi facemmo altrettanto, addossati ad un muretto che su un lato della strada fungeva da parapetto verso la scarpata mentre sull’altro lato c’era una serie di case in mattoni crudi (lardiri, ovvero mattoni di fango d’argilla e paglia), tipiche di vaste zone della Sardegna.
Uno degli aerei si staccò dalla formazione e si diresse verso di noi. Non si ebbe il tempo di capire cosa stesse succedendo e ce lo trovammo davanti sempre più vicino. Il rombo dei motori dell’aereo in picchiata e subito dopo in cabrata forse coprì il rumore della sventagliata di mitra che ci passò poco sopra la testa. Solo dopo ci siamo resi conto che avevamo corso un grosso rischio perché l’unico a farne le spese era stato un vecchietto del paese che era seduto, addossato al muro, sull’altro lato della strada per godersi i primi tepori del sole primaverile. Conseguente lutto cittadino ed esequie della vittima il giorno successivo.
Noi ragazzini, nella nostra incoscienza infantile continuavamo a giocare nelle strade e proprio mentre gli adulti partecipavano ai funerali della incolpevole vittima, noi ci siamo dedicati al recupero delle pallottole conficcatesi nel muro di mattoni crudi. Il capo banda, fornito di un coltellino a serramanico, né recuperò tre per non doversi smentire del ruolo di capo mentre io, a fatica, con un pezzo di canna appuntita, ne recuperai solo una ma tanto bastava perché anche io avessi il mio trofeo e convalidassi la mia importanza nel gruppo.
Chiaramente il tutto ci fu poi sequestrato dagli adulti che ci redarguirono severamente per aver recuperato quelle pallottole allargando il foro nel muro lasciato dalle stesse.
Ancora oggi mi domando cosa abbia spinto l’equipaggio di quell’aereo a buttarsi contro degli inermi civili contravvenendo, forse, agli stessi scopi della missione di perlustrazione diurna. Volevano solo spaventare degli inermi civili o volevano compiere una strage? Oppure dimostrazione di forza e voglia di vendetta perché nei giorni precedenti era stato abbattuto un loro aereo proprio dalla contraerea della diga? Domande destinate a restare senza risposta per sempre. Ma questa è la guerra in tutte le parti del mondo.
Perdonate la mia prolissità: doveva essere un racconto breve ma i ricordi che via, via mi tornavano alla mente mi hanno preso la mano e vi prego di scusarmi se, alla fine, mi sono dilungato troppo, ma volevo raccontarvi anche questa storia, oggi più che mai attuale per le vicende della guerra in Ucraina.
Nel ringraziarvi per la cortese attenzione auguro a tutti una serena Domenica.

Giuseppe,complimenti per il tuo racconto pieno di emozioni con ricordi precisi che riaffiorano alla tua mente, piccoli frammenti di vita vissuta durante la seconda guerra mondiale diciamo anche con angoscia e lo si nota leggendo il tuo Post.Io sono nato poco dopo la fine di questa guerra, ma mio padre l’ha vissuta e l’ha combattuta e raccontata. Racconti sconvolgenti che se qualche giovane lo legge le potrebbe sembrare una favola, invece è la pura verità di chi l’ha vissuta.Purtroppo, come allora anche oggi in modo diverso in era moderna è lo stesso copione,distruzione, saccheggi,morti, e feriti, in questa triste guerra, comunque vada,vincitori,e vinti ci sarà comunque chi cercherà di trarne profitto.Alla fine ancora una volta si evince di non aver imparato nulla dalla seconda guerra mondiale che tu hai vissuto da bambino, anche allora le società democratiche non vollero vedere e adottare una serie di compromessi che si rilevavano catastrofici.Un saluto
Vero Nembo, tutti i ragazzini “anteguerra” ma anche quelli nati nell’immediato dopoguerra, hanno tante cose da raccontare ai ragazzini di oggi ed è giusto non dimenticare. Grazie per la tua analisi sempre molto precisa e perspicace, Ciao, Buona Domenica.
Bellissimo racconto di vita vissuta Giuseppe, ti ammiro per come ricordi tutti i passi pensando che eri piccolo. Io sono nata dopo la guerra, mi hanno raccontato episodi ma non erano emozionanti, c’era solo il rifugio chiuso una decina d’anni dopo la fine della guerra che ci diceva quanto doveva essere grande la paura. Mio papa’ era cuoco in una cucina sotto la terra, avevano scavato una fossa grande e lunga e li’ dovevano cucinare. A quei tempi la Valle di Non ossia la Valle dove sono nata io era sotto l’Austria e solo l’anno dopo è passata all’Italia. Un saluto ciao
Sono brutte esperienze che tutti abbiamo vissuto Gabriella e che dovrebbero insegnare che le guerre tra popoli sono sempre da evitare e invece, ancora oggi, assistiamo a queste tragedie. La storia insegna ma sono ancora in tanti che non vogliono imparare. Auguriamoci che in Ucraina tutto finisca presto e si ritorno alla Pace, Grazie per il tuo intervento, Buona Domenica, ciao.
Caro Giuseppe con questo tuo racconto mi hai riportato indietro nel tempo
Anch’io ero sfollata, ma non avevo il mio papà vicino perché era prigioniero in Germania
Mamma la vedevo poco perché da Pietrasanta andava a Parma per procurare da mangiare e faceva tutto a piedi
Eravamo vicino alla linea gotica e i cannoni li sentivo giorno e notte
Maledico la guerra che porta solo morte e distruzione
Grazie Giuseppe di aver condiviso con noi la tua storia…, veramente bella ed emozionante… Sono dei ricordi importanti questi… La guerra sicuramente non è facile…. Ma sicuramente ti fa capire il valore della vita….. Kissoneeeeee Sabrina
Ecco un’altra dimostrazione che le guerre portano solo distruzione e morte, grazie Maria Licy per la tua testimonianza. I popoli chiedono di vivere in pace e stentano a credere che malgrado gli insegnamenti della storia, gli uomini al potere, ancora oggi, ricorrono all’uso delle armi per risolvere divergenze territoriali ed economiche. Noi continueremo a gridare: Pace. Grazie ancora è un saluto, ciao.
Grazie Sabrina, la tua presenza è il tuo parere è importante per tutti noi. È vero sono ricordi di emozioni vissute che non possiamo dimenticare, anzi, è bene portarle alla conoscenza dei giovani affinché il loro impegno sia rivolto sempre alla difesa della Pace. Grazie ancora e un caro saluto, ciao.
Bellissimo il tuo post, Giuseppe, dedicato alle memorie di un bambino. Mi è tanto piaciuto e l’ho tanto gradito. Lorenzo
Grazie Lorenzo, sono i ricordi delle tragedie di una guerra rimasti nella memoria di un bambino.
Pensiamo a quanto sta succedendo in Ucraina con tanti morti non solo militari ma anche civili e tra loro anche tanti bambini. A fine guerra, coloro che si salveranno, ne avranno tante da raccontare pure loro. Sono tragedie che non si dimenticano. Un caro saluto, ciao.
Un bellissimo racconto, pieno di particolari, immagino lo sforzo nel ricordare così minuziosamente. Sono ricordi rimasti indelebili nella mente… vissuti con gli occhi da bambino. Complimenti Giuseppe!!!
Grazie Anna per aver letto il racconto e per il gradito commento. É vero, sono eventi eccezionali che rimangono fortemente impressi nella mente non solo di un bambino ma è da tener presente che, durante la crescita, la memoria di quel bambino si è arricchita con le conferme dei racconti degli adulti.
Situazioni forse peggiori si stanno vivendo oggi in Ucraina ma speriamo che si arrivi presto alla PACE. La guerra porta solo morte e distruzione per tutti.
Ancora grazie e un saro saluto.
Frustate che aprono le menti ottuse. Schegge che colpiscono anche i più chiusi e refrattari. Ultimamente ci siamo tutti rilassati nel “benessere”.Abito a pochi km da Sant’Anna di Stazzema: 560 vittime innocenti. Ma l’uomo è ” una bestia rara”, dimentica. Le tue sono PAGINE da leggere tutti i giorni. Si capisce la chiusura della scuola….non voglio toccare questo tasto dolente.Ognuno darà la proria versione. Comunque, Grazie. Giulio Salvatori
Testimonianze da brivido e che fanno riflettere. Sembra un film bianco/nero, ormai sbiadito, invece tanto presente. Abito a pochi km dal paese Martire: Sant’Anna di Stazzema- 560 vittime innocenti. Ci siamo cullati tranquilli e sereni, ignari che si potessero ripetere. Una scuola che ben poco dice della nostra storia. (?!) forse è una mia opinione. Ma siccome ho due nipoti adolescenti, e non li sento mai, mai, parlare di questi fatti. Le tue sono schegge che devo colpire le menti ottuse. E, non è facile scriverle. Grazie . GiulioSalvatori
hai scritto un racconto della guerra da te vissuta, se pure bambino, piena di ricordi che sembrano ti siano successi poco tempo tempo fa con una precisione sconvolgente che fa venire pure oggi la pelle d’oca e pensare che i nostri ragazzi sanno poco o nulla di questa guerra- da tempo nei libri della scuola non viene trattato + nulla- pensavamo di avere già avuto tutto di brutto alla vita- invece no . ora un’ennesima guerra è in corso che fa tanto pensare e non è l’unica- semza contare le guerre in terra d’africa- è proprio vero con + si cresce e meno si capisce xkè quello che è stato è stato e non fa + notizia
Concordo con le tue osservazioni Giulio, la storia è la cultura dei popoli e dovrebbe occupare una parte importante dell’insegnamento nella scuola affinché ì ragazzi conoscano il nostro recente passato,sappiano da dove veniamo e possano trarre le giuste conclusioni. Purtroppo ho l’impressione che ci siano carenze pure nelle conoscenze della classe insegnante e gli indirizzi ministeriali vanno per altre vie. Grazie per la tua testimonianza, sempre forte e decisa, un saluto.
Si Carlina, gli eventi bellici di questi
giorni in Ucraina hanno richiamato alla mente episodi di guerra vissuti da adulti e bambini, che, terrorizzati da quanto stava accadendo, il primo istinto è stato quello di cercare di salvare la vita con la fuga dalle città e dalle sedi prese di mira dalle bombe del nemico. Per chi si è salvato non dobbiamo dimenticare i patimenti anche nel dopo guerra. Ma su questo dovremmo scrivere un’altra storia. Grazie per la tua costante presenza, un saluto sincero.
Caro Giuseppe ….ho letto tutto d’un fiato la tua storia bellica e devo dire che mi sono immedesimato nel tuo racconto e mi è sembrato di rivivere quegli eventi, ovviamente tragici, ma che ai tuoi occhi di bambino dovevano avere assunto connotati favolistici quasi si trattasse di un gioco avventuroso, fortunatamente per te… a lieto fine… una cosa è certa questo momento così impattante deve aver segnato in modo indelebile la tua vita facendoti crescere più in fretta e facendoti capire che la vita è bella e che vale sempre la pena di essere vissuta con gioia e con l’entusiasmo di un bambino …fino all’ultimo giorno della nostra esistenza …della serie ” di vita ce n’è una sola per cui non bisogna sprecare mai le opportunità che essa ci offre…”…Grazie…Caro Giuseppe !!!
Si caro Lucio, quelli che erano bambini e ragazzini in quel periodo bellico, sono maturati in fretta, sono passati dalla incoscienza e spensieratezza infantile alla consapevolezza del pericolo di perdere la vita, alla necessità di doversi salvare. Con il padre non in casa perché richiamato al servizio militare, vedere il terrore nel viso della propria madre quando, suonava l’allarme, si sentiva il fischio e l’esplosione delle bombe a poca distanza, ti fa dimenticare di essere bambino e fa insorgere nell’animo la volontà di voler aiutare chi ti è vicino, ti senti più grande della tua età ma non sai cosa fare.
Sono eventi che rimangono impressi per sempre nella tua mente e da quel momento non sei più bambino. A quelli della mia generazione è mancata l’infanzia.
Grazie per il tuo prezioso intervento, ne sono felice, ciao.
Ringrazio pure tutte le Amiche ed Amici che frequentano il Bosco e che forse hanno letto ma non hanno avuto la forza di lasciare un commento. Invito ad avere sempre un pizzico di coraggio anche quando l’argomento è tosto o importante, non è mai conveniente tirarsi indietro, un saluto, e ancora grazie.