LA DOMENICA DEL BOSCO

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All’età di sette anni si iniziavano le lezioni di catechismo. Si svolgevano nel pomeriggio, seduti sulle panche di legno in una cappella della chiesa parrocchiale. Frequentavamo volentieri, non tanto per  il piacere di ascoltare la catechista ma perché prima della lezione riuscivamo a fare una mezz’ora di svago tra noi ragazzini. Il gioco preferito, naturalmente, era la partitella di calcio che si stipulava tra due squadre composta ciascuna di 5÷6 ragazzini. Il campo di gioco era il sagrato della chiesa, allora ancora in terra battuta e si giocava scalzi per non rovinare l’unico paio di scarpe che si possedeva.

 

Sagrato della chiesaSagrato della Chiesa

 

Chiaramente non avevamo un pallone di cuoio o una palla di gomma bensì una sorta di sfera costruita con l’inventiva di qualche genitore che veniva composta con un nucleo di carta compattata a mano per dare una certa leggerezza ed elasticità e avvolta accuratamente con stracci. L’ultimo rivestimento era generalmente costituito da una vecchia calza di lana o cotone, cucita come chiusura in modo da riuscite a tenere il tutto unito. Questa era la nostra palla e per quanto poteva servire, funzionava. Due grossi sassi da un lato del campo di gioco e altri due dall’altro, delimitavano le due porte verso le quali si tirava per segnare il gol.

 

palla di pezzaLa palla di stracci

 

Il possessore di palla fungeva da General Manager, perché era lui che decideva chi far giocare in una squadra e chi nell’altra. Ci si rivolgeva a lui con la classica frase “Mi fais giogai?” (Mi fai giocare?) e la risposta, immancabilmente era “Ita mi honas?” (Cosa mi dai?). Una sorta di breve trattativa con scambio di piccoli oggetti e si formavano le due squadre. I ragazzini giudicati più bravi venivano annoverati nella squadra del padrone di palla, quelli giudicati scarsi nell’altra. In questo modo il risultato era scontato: la squadra del capo avrebbe vinto con 3, 4 gol di scarto. La squadra degli scarti, raramente riusciva a segnare un gol. Mezz’ora di gioco ed era tutto finito… un po’ accaldati ci si rimetteva le scarpe e si entrava in chiesa per la lezione catechistica.

 

La partitaLa partita

 

Un pomeriggio, mentre mi recavo mestamente in chiesa trovai, abbandonata per strada, una palla di stracci bella e pronta, ben confezionata e ancora in buone condizioni. È la mia giornata fortunata, pensai e mi infervorai all’idea che quel giorno sarei stato io il padrone del gioco. In tasca avevo cinque zolfanelli prelevati dalla cucina di casa: erano il tributo che avrei pagato per essere accettato in squadra, non m’importava se in quella vincente o perdente, per me era importante far parte del gruppo giocatori, non essere solo spettatore.

           altra palla di fortuna                                                                                           Palla di straccizolfanelli

     

 

                           fiammiferi svedesi

   

Non appena mi videro arrivare con in mano la palla di stracci fui attorniato da tutta la compagnia. Tutti volevano partecipare al gioco e iniziarono le solite trattative. Si accettava di tutto: una vecchia fibbia, un grosso chiodo, una chiave ed altre piccole cose. Un anonimo ragazzino di quelli che non aveva mai partecipato al gioco e del quale non conoscevo neppure il nome, si rivolse a me con la classica domanda “Mi fai giocare” al che risposi: Cosa mi dai? Mi offrì una piantina non più alta di quindici centimetri con 6/8 foglie e il nocciolo del seme, senza il guscio, ancora attaccato alle radici, dicendomi “Una matta de mindula” (un albero di mandorlo). L’aveva trovata nel vialetto percorso per venire in chiesa e l’aveva sradicata proprio per servirsene come pegno per essere ammesso al gioco.

Naturalmente accettai e quella sera anche lui fece parte di una delle due squadre.

Cercai di amalgamare bene i due gruppi in gioco, senza squilibrare troppo i valori.

Ricordo che era stata una bella partita, a fasi alterne ma tutto sommato equilibrata. con il risultato finale di 4 a 3. La palla di stracci a fine partita era ormai inservibile.

 

Piantina  BLa piantina

 

Dopo la lezione catechistica ritornai a casa e sistemai la piantina in una aiuola del cortile, mostrandola a mio padre il quale mi disse che doveva trattarsi di un pesco e non di un mandorlo. Comunque fosse, ci tenevo a vederla crescere. In quell’aiuola erano nate anche altre piantine dai semi di frutta buttati lì per caso ma la mia era decisamente più bella.

Un giorno, mio padre, che voleva utilizzare quell’aiola per piantarvi degli ortaggi, iniziò a sradicare tutte le piantine nate spontanee ed io, pensando ingenuamente di  dargli una mano, continuai l’opera sradicando, seppure a malincuore, anche la mia piantina che era cresciuta ed era più grande delle altre. “Quella no!” gridò mio padre ma ormai il danno era fatto. Cercando di riparare, feci un fosso nell’aiuola e rimisi dentro la piantina comprimendo la terra attorno alle radici. Mio padre mi disse che ormai si sarebbe seccata.

   

Alberello di pescoEcco come diventò quella piantina......

 

A dispetto delle previsioni quella piantina continuò a crescere e verso il settimo anno ebbe i primi fiori e mantenne quattro bellissime pesche fino alla maturazione. Fu una festa coglierle e mangiarle, dividendole con le mie sorelline. Dall’anno successivo e per moltissimi anni era un piacere vederla fiorire e riempirsi di tantissime pesche, belle, saporite e profumatissime. Altri anni passarono e la pianta era cresciuta tanto che dovevo arrampicarmi sui rami per cogliere i frutti.

Piccola soddisfazione di un ragazzo che si era guadagnato una piantina con una palla di stracci trovata per caso, un giorno, in una via mentre andava alla lezione di catechismo.

 

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Giovanni  Marradi  - Summer


COMMENTI

  1. il 16 febbraio, 2014 Lorenzo.rm dice:

    Una storia “vera”, ben raccontata e partecipata. Le nostre radici non si dimenticamo. Grazie, Pino e grazie, Giovanna.

  2. il 16 febbraio, 2014 Giuseppe3.ca dice:

    Si Lorenzo, una storia vera, genuina, conservata per tanti anni nella mente ma che trova l’impulso di essere raccontata quando trova l’ambiante adatto come il nostro Bosco tra tanti amici sinceri come il nostro gruppo e tutti i nostri affezionati lettori. Grazie.

  3. il 16 febbraio, 2014 aquilafelice dice:

    bravo giuseppe e giovanna col tuo raconto mi riporti ala mia infanzia io pultropo non potevo andare a giocare a palone il mio compito era molto diverso mi bastava uscire un atimo di nascosto da mamma x guardare gli altri giocare poi di corsa ancora a casa magari x colpa mia x guardare un atimo i ragazzi giocare trovavo la mamma x terra e mi rimproveravo me stesso x cosa era sucesso la mamma mi perdonava e mi diceva non preocuparti anche tu ai dirito di giocare non posso condannare te x la mia malatia domani vaci lo stesso e se ti lasciano giocare gioca anche tu si lo feci andai al campo goicai col pallone pure io era bello mi divertivo anchio con quel pallone che a fine partita non era piu un pallone ma un rotolo di calze vecchie legato con lo spago grazie giuseppe grazie giovanna x un attimo ho giocato anchio a pallone con voi grazie

  4. il 16 febbraio, 2014 Giuseppe3.ca dice:

    Anche se con qualche pizzico di nostalgia per come poteva essere e non è stato, i nostri ricordi sono sempre belli ed è ancora più bello condividerli con gli amici, come facciamo noi nel nostro amato Bosco.
    Grazie Vanni, hai una bel ricordo della tua mamma e ci hai dato una prova palese del bene che una madre ha per i propri figli. Un abbraccio a tutte le mamme, anche a quelle che non ci sono più ma sono sempre con noi, nel nostro cuore.

  5. il 16 febbraio, 2014 franco muzzioli dice:

    Partite a pallone neorealiste , almeno qui in Italia, distanti ormai anni luce.
    Oltre alla piacevolezza della metafora (quel pesco non rappresenta l’adolescenza …che poi cresce e da frutti ?) mi incantano quelle frasi in sardo, che ad una prima lettura credevo fossero in qualcosa che assomigliava al catalano…… grazie Giuseppe!

  6. il 16 febbraio, 2014 giovanna3.rm dice:

    Pino, che tenerezza per quei ragazzi che si divertivano un mondo con la loro palla di stracci! Se penso al giorno d’oggi che, gli stessi ragazzetti, se non hanno play station e aggeggi telematici di ogni genere non sanno più divertirsi, mi viene una grande tristezza! Certo, non è mia intenzione vanificare gli aspetti tecnologici acquisiti nel tempo: mi piacerebbe che i giovanissimi avessero più autonomia di scelta, senza essere condizionati dagli ultimissimi ritrovati!!!

  7. il 16 febbraio, 2014 lucia1.tr dice:

    Buona domenica al Bosco, mi complimento con l’autore dell’articolo che mi ha fatto rivivere momenti spensierati della mia infanzia. Anch’io giocavo nelle piazzette con gli altri bambini, oltre il pallone giocavamo a nascondino, a campana disegnando in terra dei rettangoli che dovevamo oltrepassare senza pestare la riga, con i tappi delle birre, con le figurine dei famosi album… Che bello leggere che un bambino e un padre piantano un piccolo arboscello e insieme lo curano e lo vedono crescere. Vi confesso che, quando ho ristrutturato la mia casa nativa, ho piantato una pianta di Ulivo nel posto dove, 100 anni prima, mio nonno Ernesto,avevo messo a dimora un pino che nel tempo si era seccato.

  8. il 16 febbraio, 2014 gabriella dice:

    Una storia vera, della nostra età. Quando con un pò di carta ben arrotolata e un paio di stracci o una calza ormai rotta, si costruiva una palla. Giuseppe è stato doppiamente fortunato, perchè un bambino, pur di avere la palla trovata da Giuseppe, le offrì un piccolo germoglio di pesco che dopo tanti anni cominciò a dare i suoi frutti dolci e deliziosi. Il tutto per una palla, uno dei pochi giochi che si aveva tanti anni fa.

  9. il 16 febbraio, 2014 Giuseppe3.ca dice:

    Non sbagli Franco. Quasi quattro secoli di dominazione in Sardegna dei catalano/aragonesi prima e spagnoli dopo, hanno lasciato il segno anche nella lingua sarda. Il dialetto tutt’ora parlato nella zona di Alghero è prettamente di origine catalana.
    Nella memoria della nostra infanzia, che riportiamo alla luce con i nostri racconti, non è difficile trovare una morale o una metafora come hai detto tu. Hai visto giusto, grazie Franco.

  10. il 16 febbraio, 2014 Giuseppe3.ca dice:

    Tante storie parallele, Lucia. Giochi apparentemente semplici che, però, riuscivano a darci tanto per la nostra crescita sociale e il nostro spirito di aggregazione.
    Con i tuoi ricordi hai dipinto un quadro panoramico delle memorie infantili di tutti noi. É fantastico, grazie.

  11. il 16 febbraio, 2014 Giuseppe3.ca dice:

    Si Giovanna, a distanza di decenni, il confronto di come eravamo noi, nella nostra semplicità, e di come sono i giovani d’oggi, sommersi da tanta tecnologia, mi sembra giustamente d’obbligo. Hai fatto bene a rilevarlo ma d’altra parte è l’evoluzione dei tempi, il mondo corre e non può essere fermato. Da parte nostra, resta il dovere di sorvegliare sugli aspetti eventualmente negativi degli abusi o eccessi d’uso dei sistemi tecnologici che purtroppo non mancano.

    Grazie per la tua infinita disponibilità, per il completamento delle immagini, l’aspetto grafico e il delizioso video musicale, sempre superbo.

  12. il 16 febbraio, 2014 Giuseppe3.ca dice:

    Vero Gabriella, a volte dal nulla si riusciva ad avere tanto. Ho amato quella piantina di pesco perchè l’ho curata e l’ho vista crescere come crescevo io: sono cose che non si possono dimenticare. Sei entrata nello spirito del racconto: grazie infinite.

  13. il 16 febbraio, 2014 gianna dice:

    Giuseppe3.ca: molto vero il tuo racconto, i ragazzini si accontentavano di piccole cose, ma importanti in quel momento perche, quella palla di stracci, era un vero pallone per voi,molto bello quando toglievate le scarpe essendo uniche, si tenevano con cura e rispetto, oggi purtroppo la tecnologia a portato molte cose importanti,ma era bella la vostra semplicita’,quella piantina di pesco bella poi cresceva e tu eri orgoglioso di essere il proprietario per quella partita ne eravate usciti vincenti,i video di Giovanna ,sono sempre meravigliosi, e voi rinnovate la vostra infanzia con immenso piacere grazie bravissimi e grazie di questo tenero raccconto.

  14. il 16 febbraio, 2014 Giuseppe3.ca dice:

    Grazie a te Gianna che hai saputo cogliere nella semplicità del racconto, gli aspetti umani dello stesso. Anche io mi sono commosso non solo nel rileggere il mio stesso scritto ma soprattutto nel leggere l’approvazione nei cortesi commenti da parte di tutti gli amici. Ancora grazie.

  15. il 16 febbraio, 2014 alba morsilli dice:

    Di recente ho letto un libro “Vita in gioco”di cui hanno fatto film e messo in scena nei teatri d’Italia il fatto vero accaduto a Boccino un piccolo paese in provincia di Salerno.
    Era il 16settembre del 1943 quando un gruppo di ragazzini con un pallone anche loro fatto con mezzi di fortuna giocavano sulla piazza del paese.
    Solo che il rombo di un aereo distolse la loro attenzione e alzando le mani in segno di saluto al nuovo arrivato.
    Un attimo tutti giù per terra morti.
    Tutto questo in nome di una partita di pallone

  16. il 16 febbraio, 2014 edis.maria dice:

    Giuseppe non mi soffermo sul racconto dei nostri giochi semplici e simpatici dei nostri tempi giovanili, ma sula pianticella che, crescendo e fruttificando,, ha segnato i tuoi ricordi! Ti ha dato più quell’arboscello che tante soddisfazioni future, che sicuramente hanno costellato la tua vita!

  17. il 16 febbraio, 2014 giuseppe3ca dice:

    Alba, la morte di quei ragazzi non può essere attribuita ad una innocente partita di pallone giocata nella piazza del paese, ma a cause ben più gravi. Ho vissuto anch’io un episodio analogo ma lo racconterò un’altra volta: oggi vogliamo stare sereni. Grazie per il tuo intervento.

  18. il 16 febbraio, 2014 elisabetta8.mi dice:

    Giuseppe,la tua storia è molto bella propio x è vera,,Sei sto bravo a descriverla con tanta semplicita’,è vero noi bambini di allora figli di gente semlpice senza molte possibilita’riuscivamo a divertirci cosi’con poco,i maschietti con 1 palla di pezza e noi femminucce con 1 bambola di pezza,nn pensavamo di chiedere nn rientrava nei nostri pensieri,ma tutto questo ci ha fatti forti e maturi,abbiamo saputo apprezzaere ogni passo della nostra vita,l’episodio della tua piantina è un esmpio molto profondo,,dal nulla è diventata 1 pianta bella,forte e ha dato dei frutti belli e buoni,,questa è vita,,grazie giuseppe,,

  19. il 16 febbraio, 2014 giuseppe3ca dice:

    Edis, leggendo il racconto hai saputo leggere anche nel mio cuore. É vero, io sono cresciuto con quella piantina, siamo cresciuti insieme, due vite parallele, una arborea e l’altra umana. Non le ho contate ma sono state tantissime le volte, durante la mia vita, che il mio pensiero tornava a quella piantina. Ancora oggi, non solo allo sbocciare della primavera, la mia mente ricorda i rami fioriti di quella piantina di pesco. Grazie per la tua grande sensibilità.

  20. il 16 febbraio, 2014 giuseppe3ca dice:

    Grazie a te Ely, le tue parole rincuorano il mio animo. Insieme ai giochi semplici c’erano anche le cose importanti che hanno segnato la nostra crescita e quella piantina lo è stata per me. Ancora oggi, con i ricordi, restiamo attaccati alle cose importanti della nostra infanzia e, in fondo, anche della vita. Ti sono infinitamente grato, hai saputo cogliere l’essenza del mio racconto.

  21. il 17 febbraio, 2014 sandra vi dice:

    Bello il tuo racconto GIUSEPPE,l’ho letto riandando con la memoria ai tempi della nostra giovinezza ,quanto ho invidiato i vostri giochi io cresciuta in citta’.Un po’mi sfogavo quando ccompagnavo nonna in campagna e giocavo coi ragazzini del posto ,ma loro erano abituati ad andare scalzi ,io ogni volta (con nonna disperata )pur di imitarli mi facevo sempre male.Ma era cosi divertente.Quante corse per i prati,quante capriole e..quante risate ,e’ verissimo ci divertivamo con poco .Alla sera vicino al grande camino improvvisavamo recite ed erano prese in giro e risate .Mi pice vedere il tuo nocciolo che cresce con te e ti ricompensa coi suoi frutti d’averlo cosi curato

  22. il 17 febbraio, 2014 sandra vi dice:

    Giovanna mi scuso di nn averi ringraziata ,ero presa dai ricordi ,ho dimenticato tutto ,bello il vdeo sai comunque che l’apprezzo sempre

  23. il 17 febbraio, 2014 giuseppe3ca dice:

    Vero Sandra, è bello tornare indietro con la mente, ricordare i momenti piacevoli della nostra infanzia perchè aiuta a mantenerci giovani. Ho notato che ha coinvolto di più la piantina di pesco anzichè la palla di stracci ma mi sembra ovvio: la palla di pezza rappresenta i giochi infantili mentre la pianta raffigura l’importanza e la concretezza della vita. Grazie per la tua testimonianza, sempre graditissima.

  24. il 17 febbraio, 2014 Nembo dice:

    Nostalgia del passato, che bei ricordi Giuseppe, basta pensare la differenza tra il mondo di oggi e il mondo di quel periodo un’altra era, un’altra educazione, altri valori, tutto era innocente e più bello.

  25. il 17 febbraio, 2014 giuseppe3ca dice:

    Giustissimo Nembo, un’altra era, tutto innocente e più bello, insomma un altro mondo e allora perché non ricordarlo con un piacevole racconto prelevato dall’archivio delle nostre memorie? É ciò che abbiamo fatto per rendere sempre piacevoli le letture del nostro Bosco incantato. Un incoraggiamento per proseguire sulla strada intrapresa. Grazie.

  26. il 17 febbraio, 2014 giovanna3.rm dice:

    Sandra, sai che mi fa sempre piacere sapere che la musica che scelgo per voi sia di vostro gradimento.
    Ti abbraccio.


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